Dossier Coronavirus COVID-19 Quello che vuoi sapere In caso di Contagio -Patogenesi-Trasmissione-Prevenzio-Patologie concomitanti– raccomandazione

 

Catania, 24 marzo 2020

Dossier Coronavirus COVID-19

I coronavirus sono un genere di virus a RNA che fanno parte della sottofamiglia Orthocoronavirinae, della famiglia Coro- naviridae, del sottordine Cornidovirineae, dell’ordine Nidovirales.

Si tratta di virus dotati di pericapside con un genoma a filamento singolo a senso positivo e con un nucleocapside di sim- metria elicoidale. La dimensione genomica dei coronavirus varia da circa 26 a 32 kilobasi, la più grande per un virus a RNA.

Il nome “coronavirus” deriva dal termine latino “corona”, a sua volta derivato dal greco κορώνη (korṓnē, “ghirlanda”), che significa “corona” o “aureola”. Ciò si riferisce all’aspetto caratteristico dei virioni (la forma infettiva del virus) visibile al microscopio elettronico, che presenta una frangia di grandi proiezioni superficiali bulbose che creano un’immagine che ricorda una corona reale o della corona solare. Questa morfologia è dovuta ai peplomeri virali del picco (S), che sono proteine che popolano la superficie del virus e determinano il tropismo nell’ospite.

I coronavirus sono responsabili di patologie nei mammiferi e negli uccelli: comportano il verificarsi di diarrea nelle mucche e nei suini e di malattie respiratorie delle vie superiori nei polli. Nell‘uomo, provocano infezioni respiratorie, spesso di lieve entità come il raffreddore comune, ma in rari casi potenzialmente letali come polmoniti e bronchiti.

I coronavirus sono stati scoperti negli anni sessanta dalle cavità nasali dei pazienti con raffreddore comune. Questi virus furono successivamente chiamati Human Coronavirus 229E (HCoV-229E) e Human Coronavirus OC43 (HCoV-OC43). Sono stati identificati altri due membri di questa famiglia nel 2004 (Human Coronavirus NL63 (HCoV-NL63) e Human Coronavirus HKU1 (HCoV-HKU1) nel 2005 e sono stati tutti coinvolti in infezioni del tratto respiratorio più gravi.  I coronavirus sono stati responsabili delle gravi epidemie di SARS del novembre 2002, di quella della MERS del 2012 e della polmonite di Wuhan del 2019-2020. Il ceppo di Wuhan è stato identificato come un nuovo ceppo di β-CoV dal Gruppo 2B con una somiglianza genetica del 70% circa rispetto al SARS-CoV. Il nuovo ceppo, di conseguenza, è stato nominato SARS-CoV-2. Quindi a gennaio 2020 conosciamo 7 ceppi di coronavirus in grado di infettare gli umani:

  1. 1. Human Coronavirus 229E (HCoV-229E)
  2. 2. Human Coronavirus OC43 (HCoV-OC43)
  3. 3. Human Coronavirus NL63 (HCoV-NL63)
  4. 4. Human Coronavirus HKU1 (HCoV-HFU1[3])
  5. 5. Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus (SARS-CoV)
  6. 6. Sindrome respiratoria mediorientale da Coronavirus (MERS-CoV), conosciuto anche come Novel Coronavirus 2012 (2012-nCoV) e Human Coronavirus Erasmus Medical Center/2012 HCoV-EMC/2012
  7. 7. Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus-2 (SARS-CoV-2), conosciuto anche come Wuhan Coronavirus, responsabile della malattia COVID-19

Struttura

 

Immagine: modello di coronavirus visto in sezione

 

I coronavirus sono virus a RNA positivo dal diametro di circa 80-160 nm. Il nome del virus deriva dalla classica forma apprezzabile al microscopio elettronico a trasmissione a “corona”. Questo aspetto è dato dalla presenza di “spike” (spi- cole) rappresentate dalla glicoproteina che attraversa il pericapside, raggiungendo il coat proteico, detta proteina S, con proprietà emoagglutinanti e di fusione. La struttura del virus è quella più o meno tipica dei virus rivestiti, presenta quindi un nucleocapside a simmetria elicoidale e un pericapside costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare; tra questi due strati si interpone un coat proteico costituito dalla proteina M (matrix o matrice). Nel nucleocapside si ritrova il genoma costituito da un ssRNA+ (un filamento di RNA singolo a polarità positiva) da 27-30 kilo basi che codifica per 7 proteine virali ed è associato alla proteina N. I virus fanno tutti fondamentalmente la stessa cosa: invadono una cellula e cooptano alcuni dei suoi componenti per fare molte copie di se stessi, che poi infettano altre cellule. Ma la repli- cazione dell’RNA manca tipicamente dei meccanismi di correzione degli errori che le cellule utilizzano quando copiano il DNA, quindi i virus a RNA sono affetti da errori durante la replicazione. I coronavirus hanno il genoma più lungo di qualsiasi virus a RNA – consiste di 30.000 lettere o basi – e quanto più materiale viene copiato da un agente patogeno, tante più possibilità ci sono di commettere errori. Il risultato è che questi virus mutano molto rapidamente. Alcune di queste mutazioni possono conferire nuove proprietà, come la capacità di infettare nuovi tipi di cellule o persino nuove specie.

 

I coronavirus si attaccano alla membrana cellulare delle cellule bersaglio grazie alle loro proteine S che interagiscono con l’aminopeptidasi N della membrana; alcuni coronavirus possono legare l’acido N-acetil neuraminico grazie all’espressione della glicoproteina E3. Non è chiaro se la penetrazione della cellula sia effettuata mediante fusione del pericapside con la membrana plasmatica o per endocitosi. All’interno del citoplasma della cellula il coronavirus rilascia il suo RNA a singolo filamento positivo che si attacca ai ribosomi dove viene tradotto. La traduzione comporta la produzione di una RNA-poli- merasi RNA-dipendente (proteina L) che trascrive un RNA a singolo filamento negativo da cui poi è possibile ottenere nuovi RNA a filamento positivo del coronavirus nonché le sette proteine che esso codifica. A ciascun nuovo filamento di RNA positivo si associa la proteina N mentre le proteine del pericapside si integrano nella membrana del reticolo endo- plasmatico. Un traslocatore trasferisce i nuovi nucleocapsidi nel lume del reticolo endoplasmatico, successivamente da questo gemmano vescicole che costituiscono i nuovi virioni che possono essere rilasciati per esocitosi.

 

Coronavirus umani

Immagine: Questa illustrazione, creata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitense, rivela la morfologia ultrastrutturale mostrata dal “SARS-CoV-2″. Si notino i chiodini (spike) che costellano la superficie esterna del virus e che gli conferiscono l’aspetto di una corona che circonda il virione, vista al mi- croscopio elettronico. Questo virus è stato identificato come la causa di un‘epidemia di affezioni respiratorie registrate per la prima volta a Wuhan, in Cina.

Immagine: Coronavirus, mappa 3D di una delle proteine di Sars CoV 2.

 

È la struttura molecolare di una delle armi che il virus usa per entrare nelle cellule. La mappa riproduce nei dettagli la struttura di una delle proteine che si trovano sulla superficie del virus, chiamate ‘spike’ (punta o spina) e che funzionano come minuscoli grimaldelli che permettono al coronavirus di scardinare le porte d’ingresso delle cellule del sistema re- spiratorio umano per penetrare al loro interno e moltiplicarsi. Autori della scoperta, coordinati da Jason McLellan sono lo studente Daniel Wrapp e il ricercatore Nianshuang Wang, entrambi dell’Università del Texas. Conoscere la struttura della proteina significa avere un materiale prezioso per sollecitare la formazione di anticorpi. La molecola può inoltre essere utilizzata come una sorta di calamita molecolare per attrarre gli anticorpi presenti nel sangue di chi ha avuto l’in- fezione, raccoglierli e utilizzarli per combattere la malattia provocata dal virus COVID-19. Un gruppo di ricercatori tedeschi ha deciso di studiare i meccanismi molecolari responsabili dell’infezione virale del coronavirus (SARS-CoV-2), i cui risultati sono stati esposti in un articolo scientifico, pubblicato ad inizio marzo sulla rivista Cell. Nell’ambito della lotta contro un nuovo virus (o un nuovo patogeno) come il coronavirus, è fondamentale analizzare i meccanismi che portano il virus ad infettare la cellula ospite, per poter identificare potenziali target terapeutici. Ogni virus, per essere funzionale, deve poter rilasciare il suo acido nucleico (RNA o DNA) all’interno della cellula ospite. Una volta all’interno, usando le risorse dell’ospite, il virus si replica esponenzialmente. Una volta che tutte le energie della cellula sono state sfruttate, i nuovi virus escono dall’ospite esausto e ne attaccano un altro. Dal punto di vista strutturale, quasi tutti i virus hanno una mem- brana proteica più esterna, responsabile del primo contatto con la membrana della cellula ospite, in modo da aggirare il sistema immunitario. Una volta legatasi alla cellula ospite, le due membrane si fondono rendendo così possibile l’entrata del virus. Nello studio, gli autori hanno dimostrato come il virus SARS-CoV-2 sia in grado di attraccarsi alla cellula ospite tramite il legame della proteina virale Spike (S), che si lega al recettore ACE2 della cellula bersaglio. Questo legame di per sé è necessario, ma non basta. Per fondersi e successivamente “invadere” la cellula ospite, la proteina S deve essere tagliata, ed il taglio avviene per mezzo di un’altra proteina chiamata TMPRSS2.

Immagine: la proteina virale del nuovo coronavirus SARS-CoV-2 utilizza lo stesso fattore di attaccamento cel- lulare (ACE2) di SARS-CoV e utilizza la proteasi TMPRSS2 per la sua attivazione. I farmaci esistenti, approvati clinicamente, diretti contro TMPRSS2 inibiscono l’infezione SARS-CoV-2 delle cellule polmonari. Credito di immagine: Markus Hoffmann

Nell’articolo, gli autori hanno dimostrato che impedendo il taglio da parte di TMPRSS2, l’infezione da parte del SARS-CoV-

2 sembrerebbe bloccata. Inoltre, dato che questi meccanismi molecolari sono piuttosto simili all’infezione del virus SARS originario (con cui, ricordiamo, il nuovo SARS-CoV-2 condivide più dell’80% del genoma), gli autori hanno deciso di utiliz- zare siero da pazienti guariti da SARS per valutarne l’efficacia contro il nuovo SARS-CoV-2. I risultati, sebbene basati su un numero esiguo (4) sono promettenti: il siero da ex-pazienti SARS contiene anticorpi contro la proteina S virale, che di fatto impedisce l’infezione del SARS-CoV-2. Questo studio ci dà speranza nella ricerca di un trattamento terapeutico con- tro il virus SARS-CoV-2. Ma saranno altresì necessari nuovi test e soprattutto numeri più consistenti per confermare le ipotesi discusse più sopra.

In una lettera indirizzata al BMJ (British Medical Journal), proprio in risposta all’editoriale sopra citato, Sommerstein sot- tolinea che il nuovo coronavirus, SARS-CoV-2, per entrare nelle cellule bersaglio, usa proprio il legame con l’enzima ACE2. L’autore sottolinea poi come alcuni farmaci ACE inibitori o bloccanti il recettore dell’angiotensina 2, come lisinopril e il losartan, possono aumentare significativamente l’espressione di RNA messaggero (e quindi probabilmente anche la quan- tità di proteina stessa) dell’ACE2 cardiaco, secondo quanto riportato da studi condotti sui topi. Se questo stesso meccani- smo dovesse verificarsi anche negli uomini, una maggiore espressione di ACE 2, “potrebbe accelerare ulteriormente l’as- sorbimento del virus nelle cellule e la colonizzazione del tessuto polmonare dell’ospite”, ha commentato in un’altra lettera al BMJ Giovanni Di Guardo, Professore di patologia generale e patofisiologia veterinaria all’università di Teramo.

In un altro recente lavoro pubblicato sull’autorevole rivista “The Lancet” si legge che buona parte dei pazienti geriatrici ospedalizzati in quanto affetti da COVID-19 e provenienti da Wuhan, la megalopoli cinese epicentro dell’epidemia da

SARS-CoV-2, sarebbero risultati affetti da una serie di ulteriori patologie concomitanti, prime fra tutte ipertensione, dia- bete e malattie cardio-vascolari. L’Italia, l’Europa e il resto del mondo rispecchiano fedelmente il succitato “trend” della COVID-19 in Cina, visto e considerato che la stragrande maggioranza dei casi di malattia ad esito infausto si concentre- rebbe nel segmento geriatrico della popolazione, comunemente gravato da patologie pregresse, ipertensione e malattie cardio-vascolari in primis. E a questo punto si apre un’importante riflessione, che ha trovato appunto riscontro nella “Let- tera all’Editore” del Professor Giovanni Di Guardo : poiché le terapie anti-ipertensive routinariamente prescritte preve- dono l’utilizzo di una particolare categoria di farmaci denominati “ACE-inibitori”, sarebbe utile valutare l’impatto di queste molecole sia sulla suscettibilità degli individui nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 sia sull’evoluzione della COVID-

19 in pazienti affetti da ipertensione e trattati con ACE-inibitori. E’ da sottolineare, in proposito, che è già stata documen- tata un’aumentata espressione di ACE-2 (il recettore per il virus SARS-CoV-2) sia in modelli murini che in pazienti umani trattati con ACE-inibitori. Ad un accresciuto livello di espressione del succitato recettore virale potrebbe plausibilmente conseguire, infatti, un aumentato potere infettante ed un’accelerata colonizzazione dell’apparato respiratorio umano ad opera dell’agente virale. Sarà la ricerca, e solo la ricerca a fornire una risposta “evidence-based” a questi importanti inter- rogativi.

Patogenesi

La patologia portata da questo virus è, nella stragrande maggioranza dei casi, indistinguibile da un semplice raffreddore da rhinovirus (rinorrea, ostruzione delle coane, starnuti, febbricola); tuttavia fa parte di questo genere il temibile virus della SARS che nel 2003 provocò la morte di 775 persone nel mondo. I coronavirus sono responsabili del 20% delle pol- moniti virali. Il rischio di polmonite da coronavirus è maggiore nelle persone anziane, nei soggetti malati di cuore e nelle persone con un sistema immunitario debole; tale rischio, inoltre, dipende anche dall’aggressività del coronavirus infet- tante: per esempio, i coronavirus di MERS, SARS e COVID-19 si sono dimostrati capaci di provocare polmonite anche in persone in buono stato di salute (ed è il motivo per il quale sono temuti).

La differenza principale tra i coronavirus che causano un raffreddore e quelli che causano una grave malattia è che i primi infettano principalmente le vie aeree superiori (il naso e la gola), mentre i secondi prosperano nelle vie aeree inferiori (i polmoni) e possono portare alla polmonite. Il virus della SARS si lega ad un recettore chiamato ACE2, e la MERS si lega a un recettore chiamato DPP4: entrambi si trovano, tra l’altro, nelle cellule polmonari. Le differenze nella distribuzione di questi recettori nei tessuti e negli organi possono spiegare le differenze tra le due malattie, come il fatto che la MERS è più letale della SARS e presenta sintomi gastrointestinali più evidenti.

La bassa contagiosità della MERS (che non corrisponde però a una bassa letalità anzi…) potrebbe essere correlata ai recet- tori. “Il DPP4 è altamente espresso nei bronchi inferiori, le vie aeree che portano ai polmoni, quindi bisogna avere un gran numero di virus in entrata, perché le nostre vie aeree sono molto efficienti nel filtrare gli agenti patogeni”, dice la virologa Christine Tait-Burkard dell’Università di Edimburgo. “È necessaria un’esposizione prolungata e intensa per raggiungere i polmoni, ed è per questo che vediamo ammalarsi persone che lavorano a stretto contatto con i cammelli”. La variante SARS dei coronavirus (Sindrome Acuta Respiratoria Grave), apparsa inizialmente in Cina nella provincia del Guangdong nel novembre 2002 e isolata per la prima volta l’anno successivo, ha le stesse identiche caratteristiche morfologiche degli altri coronavirus, ma sembra sia una specie del tutto nuova, derivata probabilmente dalla ricombinazione genetica fra diversi ceppi di coronavirus ospitati da pipistrelli a ferro di cavallo cinesi (Rhinolophus sinicus). Fra le vittime vi fu, ricor- diamo, anche il medico e microbiologo italiano Carlo Urbani, il primo a identificare la SARS. La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze a Wuhan, in Cina, che hanno trascorso cinque anni studiando i virus indivi- duati in diverse specie di pipistrelli ferro di cavallo che vivono in una grotta nella provincia dello Yunnan. Lo studio è illustrato su “PLoS Pathogens”.

Il sospetto che all’origine della SARS vi fosse un virus che aveva fatto il salto di specie dai pipistrelli agli esseri umani emerse poco dopo lo sviluppo della pandemia, dato che molti di questi animali ospitano facilmente i coronavirus, il gruppo di virus a RNA a cui appartiene quello che provoca la malattia. Tuttavia, nessuno dei campionamenti eseguiti su pipistrelli aveva identificato un ceppo di coronavirus affine a quello che aveva provocato la malattia. L’analisi del genoma dei virus di diverse specie di pipistrelli a ferro di cavallo che vivono nella grotta dello Yunnan ha ora permesso a Ben Hu e colleghi di identificare 11 nuovi ceppi di coronavirus e di tracciarne le relazioni evolutive. I ricercatori hanno così scoperto che diversi ceppi contenevano tutti gli elementi essenziali per la “costruzione” genetica del coronavirus umano all’origine della SARS.

I ricercatori ipotizzano quindi che in qualche cellula infettata da più virus sia avvenuta una ricombinazione genetica, ossia lo scambio di porzioni di RNA. Da questo virus devono poi essersi evoluti diversi ceppi di coronavirus, compreso quello che provoca la SARS. Ulteriori esperimenti di laboratorio hanno poi dimostrato che alcuni dei ceppi virali identificati da Hu e colleghi sono in grado di penetrare nelle cellule umane attraverso lo stesso recettore cellulare usato dal coronavirus della SARS. La scoperta suggerisce che in quella particolare grotta dello Yunnan vi siano, con i pipistrelli, ceppi virali che potreb- bero passare direttamente agli esseri umani.

Tra i fattori che il virus della SARS utilizza per incrementare notevolmente la sua virulenza rispetto agli altri coronavirus, c’è un potente sistema di inibizione dell’interferone. L’epidemia di SARS si concluse nel 2003 inoltrato e interessò molti altri Stati dell’Asia (es: Hong Kong, Taiwan, Vietnam e Singapore) e non solo; secondo le stime più attendibili, limitata- mente alle regioni Asiatiche, la SARS contagiò più di 8.000 persone, fu responsabile di quasi 800 morti e dimostrò di avere un tasso di letalità del 9,6%. Il coronavirus della SARS è noto come SARS-CoV o SARS-Coronavirus.

Pare che a trasmettere SARS-CoV all’essere umano sia stata una varietà di pipistrelli presenti in Cina.

Epidemia di MERS

Curiosamente, 10 anni dopo la comparsa della SARS, in Arabia Saudita, cominciò a diffondersi un’altra infezione respira- toria da coronavirus alquanto aggressiva e virulenta; l’infezione in questione è la MERS o  Sindrome Respiratoria Medio- Orientale. L’epidemia di MERS ebbe un impatto minore, in termini di numerici, rispetto all’epidemia di SARS (circa 840 contagi e 320 decessi); tuttavia, l’infezione si dimostrò, in percentuale, molto più letale: il tasso di letalità assegnato alle MERS fu di poco oltre il 34%. Il coronavirus della MERS è conosciuto MERS-CoV o MERS-Coronavirus.

Sembra che a trasmettere MERS-CoV all’essere umano siano stati dromedari e cammelli.

 

Epidemia di SARS-CoV-2 (COVID-19)

Il 31 dicembre 2019, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riceveva la notizia che, in Cina, nella città di Wuhan, diverse persone si erano ammalate di un’infezione respiratoria grave, della quale non si conosceva l’agente infettivo re- sponsabile, capace di causare anche una forma di  polmonite mortale.

Pochi giorni dopo – il 9 gennaio 2020 – le autorità cinesi annunciavano che l’infezione respiratoria suddetta era effettiva- mente una nuova malattia infettiva e che a causarla era stato un coronavirus con il quale l’essere umano non era mai entrato a contatto prima di allora.

Questa nuova infezione da coronavirus prende il nome di COVID-19 e l’agente che la causa è stato denominato SARS-CoV-

2 (o Novel Coronavirus o Coronavirus di Wuhan).

 

Nel mese di gennaio 2020, COVID-19 si è era diffusa in tutte le principali città della Cina e registrava alcuni casi anche in altri paesi del Mondo (erano per lo più turisti o persone che per lavoro si erano recate in Cina poco prima dello scoppio dell’epidemia).

COVID-19 ha raggiunto anche l’Italia.

30 di gennaio 2020 a Roma: una coppia di turisti cinesi

6 febbraio: un ricercatore italiano di 29 anni rientrato da Wuhan

21 febbraio: un uomo di 38 anni di Codogno (focolaio)

I ceppi causa delle suddette epidemie appartengono tutti e tre al genere Betacoronavirus.

Un’importante caratteristica dei coronavirus sono le loro proteine “accessorie”, che sembrano coinvolte nell’eludere la risposta immunitaria innata dell’ospite, la prima linea di difesa dell’organismo.

La risposta viene innescata quando una cellula rileva un invasore e rilascia proteine chiamate interferoni, che interferi- scono con la replicazione del patogeno. Gli interferoni innescano cascate di attività antivirale, dall’arresto della sintesi proteica dell’ospite alla morte cellulare indotta. Purtroppo, la maggior parte di questi processi è anche negativa per l’o- spite. “Gran parte della malattia è in realtà dovuta alla reazione immunitaria – l’infiammazione – e agli effetti distruttivi indotti dai virus”, dice Weiss. “Questo determinerà anche quanto è virulento un virus: in che misura viene indotta una risposta immunitaria distruttiva invece di una semplice risposta protettiva?”

Questo aspetto è anche il motivo per cui le condizioni mediche esistenti sono così importanti. La maggior parte delle persone decedute a causa del nuovo coronavirus fino a oggi “aveva delle comorbilità, come malattie autoimmuni, o infe- zioni secondarie, che possono diventare molto più aggressive quando il nostro sistema immunitario innato è impegnato a combattere un virus”, dice Tait-Burkard. “Ecco perché la cosa importante è curare le persone per le comorbilità e dare loro antibiotici per fermare le infezioni batteriche che prendono piede”.

Naturalmente, lo scopo della risposta immunitaria è eliminare gli invasori, quindi i virus mettono in atto alcune con- tromisure. È questo il tratto che differisce maggiormente tra i vari coronavirus.

“Questi virus sono strettamente correlati tra loro, ma hanno diverse proteine accessorie”, dice Weiss, aggiungendo che “si sono evoluti per eliminare vari aspetti della risposta immunitaria innata”. Alcuni ricercatori pensano che i pipistrelli siano portatori di coronavirus perché non innescano l’intensa risposta immunitaria degli esseri umani. “Molte delle mole- cole di segnalazione che avvertono il nostro sistema immunitario sono invece soppresse nei pipistrelli: è per questo che non si ammalano”, dice Tait-Burkard. Invece di reagire, i pipistrelli mantengono una risposta costante a basso livello, che può contribuire all’evoluzione dei virus. “I pipistrelli hanno un’espressione costante di interferoni, che seleziona i virus che sono efficienti nell’eludere tale risposta”. “Quindi i pipistrelli sono ottimi serbatoi di selezione per i virus che sono molto bravi a nascondersi” riferisce ancora Tait-Burkard.

Tuttavia, le proteine accessorie sono ben lungi dall’essere completamente comprese. “In alcuni virus possono essere eli- minate senza alcun effetto sulla capacità del virus di crescere”, dice Perlman. “Si potrebbe pensare: se ci fosse una pro- teina cruciale per contrastare la risposta immunitaria e la si togliesse, la risposta immunitaria vincerebbe: ma non è ne- cessariamente così”.

Alcuni ricercatori ritengono che le proteine accessorie influenzino la mortalità dei coronavirus. Ci sono stati studi sulla SARS in cui la rimozione di una proteina accessoria non ha cambiato l’efficienza di replicazione del virus, che però è diven- tato meno patogeno. “Sarebbero comunque prodotti molti virus, ma apparirebbero meno dannosi”, dice Fielding.

I coronavirus hanno una certa capacità di correggere gli errori genetici, ma trascurano alcune regioni del loro genoma, dice Tait-Burkard. Di conseguenza, due sezioni in particolare sono specialmente soggette a mutazioni: quelle che codifi- cano per la proteina della spicola e le regioni proteiche accessorie. “In queste due aree, i coronavirus permettono molti errori, il che ne guida l’evoluzione, perché riescono a legarsi a nuovi recettori e a eludere la risposta immunitaria dei nuovi sistemi”, dice Tait-Burkard, “ed è per questo che i coronavirus sono così bravi a passare da una specie all’altra”.

Trasmissione

I coronavirus sono virus che normalmente circolano tra gli animali.

Alcuni di loro, tuttavia, hanno la capacità di infettare anche l’essere umano, il che li rende naturalmente oggetto di studi scientifici.

Le infezioni risultanti da virus capaci di trasmettersi dagli animali all’essere umano sono meglio conosciute come zoo- nosi.

La trasmissione dei coronavirus tra umani avviene principalmente attraverso le goccioline respiratorie (droplet) emesse da un individuo infetto mediante tosse o starnuti che, successivamente, vengono inalate da un soggetto sano che si trovi nelle vicinanze. Questa modalità di trasmissione è la più comune e quella che causa il maggior numero di infezioni.

Attraverso il contatto fisico con mani, superfici, cibi od oggetti contaminati.

Per esempio, può risultare determinante:  toccare pulsanti, telefoni, maniglie o servizi igienici oppure condividere stovi- glie, posate ecc. (modalità indiretta).

Per i coronavirus, il  periodo di incubazione – ossia il lasso di tempo che intercorre tra l’esposizione a un agente infettivo e la comparsa dei primi sintomi – può variare da 1 a 14 giorni; mediamente, tuttavia, si attesta sui 5-7 giorni.

Durante il periodo di incubazione, diversi coronavirus, tra cui il coronavirus SARS e il SARS-CoV-2 sono contagiosi; in ter- mini pratici, questo vuol dire che una persona infetta può trasmettere l’infezione ad altri, quando ancora i sintomi di questa non sono comparsi (e l’individuo che la sta incubando è apparentemente sano).

Tassonomia

 

Il genere Coronavirus è stato diviso in tempi recenti in quattro  sottogeneri distinti:

sottogenere Alphacoronavirus (α-CoV)

▪      specie  Colacovirus

▪      sottospecie  Bat Coronavirus CDPHE15

▪      sottospecie  Bat Coronavirus HKU10

▪      sottospecie  Rhinolophus Ferrumequinum Alphacoronavirus HuB-2013

▪      sottospecie  Human Coronavirus 229E (HCoV229E)

▪      sottospecie Lucheng Rn Rat Coronavirus

▪      sottospecie  Ferret Coronavirus

▪      sottospecie Mink Coronavirus 1

▪      sottospecie Miniopterus Bat Coronavirus 1

▪      sottospecie Miniopterus Bat Coronavirus HKU8

▪      sottospecie Myotis Ricketti Alphacoronavirus Sax-2011

▪      sottospecie  Nyctalus Velutinus Alphacoronavirus SC-2013

▪      sottospecie Porcine Epidemic Diarrhea Virus

▪      sottospecie Scotophilus Bat Coronavirus 512

▪      sottospecie  Rhinolophus Bat Coronavirus HKU2

▪      sottospecie  Human Coronavirus NL63 (HCoV-NL63)

▪      sottospecie  NL63-related Bat Coronavirus Strain BtKYNL63-9b (BtKYNL63-9b)

▪      sottospecie  Alphacoronavirus 1 (α-CoV-1)

sottogenere Betacoronavirus (β-CoV)

specie  Embecovirus

▪      sottospecie  Betacoronavirus 1 (β-CoV-1)

▪      infraspecie  Human Coronavirus OC43 (HCoV-OC43)

▪      sottospecie  China Rattus Coronavirus HKU24

▪      sottospecie  Human Coronavirus HKU1 (HCoV-HKU1)

▪      sottospecie Murine Coronavirus M-CoV (M-CoV)

▪      specie  Hibecovirus

▪      sottospecie  Bat Hp-Betacoronavirus Zhejiang2013

specie Merbecovirus

▪      sottospecie  Hedgehog Coronavirus 1

▪      sottospecie  Middle East Respiratory Syndrome Coronavirus MERS-CoV (MERS-CoV)

(dal  Ceppo C)

▪      sottospecie Tylonycteris Bat Coronavirus HKU4 (Bat-CoV HKU4)

▪      sottospecie Pipistrellus Bat Coronavirus HKU5 (Bat-CoV HKU5)

▪      specie  Nobecovirus

▪      sottospecie  Rousettus Bat Coronavirus GCCDC1 (Bat-CoV GCCDC1)

▪      sottospecie  Rousettus Bat Coronavirus HKU9 (Bat-CoV HKU9)

▪      infraspecie  Rousettus Bat Coronavirus HKU9-1 (Bat-CoV HKU9-1)

specie Sarbecovirus

▪      sottospecie  Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus SARS-CoV (SARS-CoV) (dal

Ceppo 2B)

▪      sottospecie  Novel Coronavirus SARS-CoV-2 (SARS-CoV-2sottogenere Gammacoronavirus (γ-CoV)

▪      specie  Cegacovirus

▪      sottospecie  Beluga Whale Coronavirus SW1

▪      specie  Cegacovirus

▪      sottospecie  Avian Coronavirusottogenere  Dltacoronavirus (δ-CoV)

▪      specie  Andecovirus

▪      sottospecie Wigeon Coronavirus HKU20

▪      specie  Buldecovirus

▪      sottospecie  Bulbul Coronavirus HKU11

▪      sottospecie  Coronavirus HKU1

▪      sottospecie Munia Coronavirus HKU13

▪      sottospecie White-Eye Coronavirus HKU16

▪      specie  Herdecovirus

▪      sottospecie  Night Heron Coronavirus HKU19

▪      specie Moordecovirus

▪      sottospecie  Common Moorhen Coronavirus HKU21

▪      specie  Acute Respiratory Distress Syndrome Coronavirus (ARDS-CoV) (ARDS-CoV)

Origine del COVID-19

Il 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) segnalava all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. La maggior parte dei casi aveva un legame epidemiologico con il mercato di Huanan Seafood, nel sud della Cina, ossia un mercato all’ingrosso di frutti di mare e animali vivi.

Il 9 gennaio 2020, il CDC cinese riferiva dell’identificazione di un nuovo coronavirus, chiamato poi COVID-19, come agente causale ed è stata resa pubblica la sua sequenza genomica.

Il nuovo coronavirus del 2019 (2019-nCoV) responsabile dell’epidemia in corso – che l’Organizzazione mondiale della Sa- nità ha dichiarato emergenza sanitaria pubblica internazionale – prende il nome dalla famiglia di virus a cui appartiene. Il termine “coronavirus” poteva essere inizialmente sconosciuto a molti, ma la maggior parte di noi ha incontrato forme più blande di questi virus: quattro ceppi causano circa un quinto dei comuni casi di raffreddore. I coronavirus sono una vasta famiglia di virus che causano infezioni nell’uomo e in una varietà di animali tra cui uccelli e mammiferi. Alcuni di essi sono zoonotici, cioè si possono trasmettere dagli animali all’uomo. Nel 2003, l’agente patogeno dietro l’epidemia di SARS (sin- drome respiratoria acuta grave) in Cina è stato identificato come un coronavirus. “Nell’ambiente siamo rimasti tutti sor- presi”, dice la microbiologa Susan Weiss dell’Università della Pennsylvania. “E abbiamo iniziato a preoccuparci davvero di questo gruppo di virus”. Si ritiene che quell’epidemia sia iniziata quando un coronavirus è passato dagli animali – molto probabilmente zibetti – agli esseri umani, dando luogo a un tipo di malattia chiamata zoonosi. La propensione di questi virus a tali salti è stata evidente nel 2012, quando un altro virus è passato dai cammelli all’uomo, causando la MERS (sin- drome respiratoria del Medio Oriente), che finora ha ucciso 858 persone, soprattutto in Arabia Saudita, cioè circa il 34 per cento dei contagiati. Quasi certamente, la SARS, la MERS e il nuovo coronavirus hanno avuto tutti origine nei pipistrelli. L’analisi più recente del genoma 2019-nCoV ha rilevato che condivide il 96 per cento del suo RNA con un coronavirus precedentemente identificato in una precisa specie di pipistrello in Cina. “Questi virus sono stati a lungo diffusi tra i pipi- strelli” senza far ammalare gli animali, spiega Stanley Perlman microbiologo dell’Università dell’Iowa. Ma non c’erano pipistrelli in vendita al mercato animale di Wuhan, in Cina, dove si pensa che sia iniziata l’attuale epidemia, suggerendo che probabilmente era coinvolta una specie ospite intermedia. Questa situazione sembra essere una caratteristica co- mune a queste epidemie: gli ospiti intermedi possono aumentare la diversità genetica dei virus facilitando più o diverse mutazioni. (Fonte: Le Scienze Quaderni, Marzo 2020)

Quando i coronavirus animali si evolvono, possono infettare le persone e poi diffondersi da persona a persona, facendo il così detto “salto di specie” e causando focolai di malattia come è accaduto in passato per la Sindrome Respiratoria Me-

diorientale (MERS-CoV) e la Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS). Per la MERS gli studi condotti hanno indicato i dromedari come serbatoi del virus che sporadicamente possono infettare l’uomo, e per la SARS, gli studi hanno confer- mato una vasta gamma di possibili serbatoi del virus (come zibetti, furetti e pipistrelli) in grado di trasmettere l’infezione all’uomo.

Di contro, esistono anche numerosi coronavirus che circolano negli animali e che non hanno ancora infettato l’uomo o,

infine, come in questo caso, il virus può essere infettivo per l’uomo, ma non trasmettersi agli animali domestici.

La fonte primaria di Covid 19 identificato in Cina non è ancora certa e sono in corso indagini per identificarla, ma il Centro

Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle malattie (ECDC) indica l’origine animale come la più probabile

Un nuovo studio effettuato da ricercatori cinesi indicherebbe che Covid 19 potrebbe aver iniziato la trasmissione da uomo a uomo alla fine di novembre da un luogo diverso dal mercato dei frutti di mare Huanan a Wuhan. La ricerca, pubblicata su ChinaXiv, un archivio cinese aperto per i ricercatori scientifici, e ripresa dal Global Times, rivela che il nuovo coronavirus è stato introdotto nel mercato dei frutti di mare da un’altra località, per poi diffondersi rapidamente da mercato a mer- cato.

Nel frattempo sulla rivista Science in prima pagina la condanna di un gruppo di 27 eminenti scienziati non cinesi nei con- fronti delle teorie complottiste che sostengono che l’origine di COVID-19 non sia da ricercare nella natura ma in un errore umano più o meno voluto all’interno del laboratorio di virologia di Wuhan.

In questa dichiarazione si afferma in maniera schiacciante che il nuovo coronavirus abbia avuto origine nella fauna selva- tica proprio come molti altri virus che sono recentemente emersi nell’uomo e che le teorie della cospirazione non fanno altro che creare paura, voci e pregiudizi che mettono a repentaglio la collaborazione scientifica globale nella lotta contro il virus.

Il nuovo virus è geneticamente identico per il 96% a un noto coronavirus dei pipistrelli e per l’86-92% a un coronavirus del pangolino. Pertanto, la trasmissione di un virus mutato dagli animali all’uomo è la causa più probabile della comparsa del nuovo virus.

L’analisi del 2019-nCoV suggerisce che il nuovo virus, come la SARS, utilizzi l’ACE2 per entrare nelle cellule. Questo è coe- rente con il fatto che finora sembra essere meno letale della MERS Il quadro però si complica rapidamente, perché i virus che utilizzano lo stesso recettore possono portare a malattie drasticamente diverse. Un coronavirus umano chiamato NL63 si lega allo stesso recettore della SARS, ma provoca solo infezioni delle vie respiratorie superiori, mentre la SARS infetta principalmente le vie respiratorie inferiori. “Non sappiamo perché”, dice Perlman. Un’altra stranezza è che il recettore ACE2 è espresso prevalente nel cuore, ma la SARS non infetta le cellule del cuore. “Questa è una chiara indicazione che sono coinvolti anche altri recettori, o co-recettori”, dice il biologo molecolare Burtram Fielding dell’University of Western Cape di Città del Capo, in Sudafrica

Prevenzione

Non esiste alcun vaccino contro i coronavirus.

Esistono, però, dei comportamenti – consigliati anche dall‘OMS e dall’ISS che riducono, in maniera efficace, il rischio di infezione. Tra i suddetti comportamenti, rientrano:

  • Il lavaggio accurato (40-60 secondi) e frequente delle mani con sapone e acqua calda o con soluzioni a base di alcol, studiate appositamente per non irritare la pelle. Lavarsi le mani, infatti, elimina il virus;
  • Se non si ha la possibilità di lavare le mani, non toccare occhi, naso e bocca;
  • Evitare il più possibile il contatto con persone con un’infezione da coronavirus o con sintomi sospetti;
  • In caso di starnuti o colpi di tosse, coprire con la piega interna del gomito o con un fazzoletto di carta, bocca e naso;
  • Pulire con una certa frequenza le superfici maggiormente a contatto con la mani utilizzando una soluzione a base di cloro o alcol (esistono degli appositi disinfettanti).

In caso di contagi

Rimanere a casa fino al termine dell’infezione, evitare il contatto con le altre persone, coprirsi la bocca e il naso con un fazzoletto a ogni starnuto o colpo di tosse (e ovviamente gettare il fazzoletto subito dopo), avere cura di disinfettare gli oggetti e le superfici più toccate e alla portata di tutti sono i principali accorgimenti che una persona con un’infezione da coronavirus deve seguire, per evitare di contaminare qualcun altro.

Allertare il proprio medico, le ASL di competenza e gli uffici preposti al controllo delle malatti

Previsioni sulla diffusione del contagio

Per prevedere come il contagio si diffonderà, abbiamo a disposizione dei modelli matematici che purtroppo però, per quanto possano essere accurati, non potranno mai prevedere con un’affidabilità altissima il corso futuro dell’epidemia. In sistemi così complessi una piccola variazione dei dati di input, dovuta anche a errori nella definizione dei nuovi casi, può portare a enormi variazioni nei risultati finali proprio come è tipico dei sistemi complessi.

Nei modelli matematici per la diffusione del nuovo coronavirus tra i molteplici parametri, uno interessante, anche se dif- ficile da stimare correttamente, è quello chiamato numero di riproduzione di base (R0) ossia il numero medio di nuovi casi causati da un individuo infetto. Secondo Dirk Brockmann, fisico dell’Istituto di biologia teorica dell’Università Humboldt di Berlino e di Robert Koch, che si occupa di modelli matematici di diffusioni virali, “l’attuale R0 stimato per il nuovo coronavirus varia da 2 a 3, molto vicino a quello della SARS che era da 2 a 4 nel 2003 ma molto più basso dell’R0 per esempio del morbillo che va da 12 a 18. “Poiché, però, ogni fattore sconosciuto introduce una maggiore incertezza, Brock- mann e il suo gruppo hanno deciso di concentrarsi sull’utilizzo dei dati di volo internazionali, senza tenere in considera- zione la trasmissione da persona a persona, per prevedere quali aeroporti rappresentassero i gateway più a rischio per la diffusione del nuovo coronavirus in tutto il mondo. Attualmente queste previsioni sono state in linea con ciò che è effet- tivamente accaduto per quello che riguarda la sequenza di paesi dove si sta diffondendo maggiormente il contagio con- fermando la ragionevole ipotesi che la diffusione viaggi parallelamente con lo spostamento delle persone e che quindi la quarantena sia una misura molto efficace nel contenere l’epidemia.

WHO report China COVID-19

“L’approccio coraggioso della Cina per contenere la rapida diffusione di questo nuovo agente patogeno respiratorio ha cambiato il corso di un’epidemia in rapida escalation e mortale. Di fronte a un virus precedentemente sconosciuto, la Cina ha messo in atto forse lo sforzo di contenimento della malattia più ambizioso, agile e aggressivo della storia. L’uso senza compromessi e rigoroso da parte della Cina di misure non farmacologiche per contenere la trasmissione del virus COVID-

19 in molteplici contesti fornisce lezioni vitali per la risposta globale. Questa risposta di salute pubblica piuttosto unica, e senza precedenti in Cina, ha invertito la tendenza all’aumento dei casi sia nell’Hubei, dove si è verificata una diffusa tra- smissione comunitaria, sia nelle province di importazione, dove sembra che siano stati i gruppi familiari a guidare l’epide- mia”.

“Gran parte della comunità globale non è ancora pronta, nella mentalità e materialmente, ad attuare le misure che sono state impiegate per contenere COVID-19 in Cina. Queste sono le uniche misure che sono attualmente dimostrate per interrompere o ridurre al minimo le catene di trasmissione negli esseri umani. Fondamentale per queste misure è una sorveglianza estremamente proattiva per individuare immediatamente i casi, una diagnosi molto rapida e l’isolamento immediato dei casi, un monitoraggio rigoroso e la quarantena dei contatti ravvicinati e un grado eccezionalmente elevato di comprensione e accettazione di queste misure da parte della popolazione”

“COVID-19 si sta diffondendo con una velocità sorprendente; le epidemie di COVID-19 in qualsiasi ambiente hanno con- seguenze molto gravi; e ci sono ora forti prove che gli interventi non farmaceutici possono ridurre e persino interrompere la trasmissione. Riguardo a tali interventi, la pianificazione della preparazione globale e nazionale è spesso ambivalente. Tuttavia, per ridurre la malattia e la morte di COVID-19, la pianificazione della prontezza a breve termine deve compren- dere l’attuazione su larga scala di misure di salute pubblica non farmaceutiche di alta qualità. Queste misure devono com- prendere l’individuazione e l’isolamento immediato dei casi, il rigoroso monitoraggio e la quarantena e l’impegno diretto della   popolazione/della  comunità”.

(Fonte:  https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/who-china-joint-mission-on-covid-19-final-report.pdf  )

Handbook of COVID-19 Prevention and Treatmen

Questo manuale riflette l’esperienza quotidiana al trattamento, i consigli ed i riferimenti contro la pandemia di un gruppo di esperti medici convocati dalla Jack Ma Foundation e dalla Alibaba Foundation. Con il supporto di The First Affiliated Hospital, Zhejiang University School of Medicine (FAHZU), hanno rapidamente pubblicato la guida su come trattare que- sto nuovo coronavirus per il personale medico di tutto il mondo.

Negli ultimi giorni, 104 pazienti confermati sono stati ammessi al FAHZU, inclusi 78 pazienti gravi e in condizioni critiche. Grazie agli sforzi pionieristici del personale medico e all’applicazione di nuove tecnologie, si è assistito a un miracolo. Nessuno staff è stato infettato e non ci sono state diagnosi mancate o decessi dei pazienti.

Oggi, con la diffusione della pandemia, queste esperienze sono le fonti di informazioni più preziose e l’arma più importante per gli operatori sanitari in prima linea. Questa è una malattia nuova e la Cina è stata la prima a soffrire. L’isolamento, la diagnosi, il trattamento, le misure protettive e la riabilitazione sono iniziate da zero.

In questo momento, condividere risorse, esperienze e lezioni, è il vero rimedio per questa pandemia non è solo isola-

mento, ma anche cooperazione.

(Fonte:  https://covid-19.alibabacloud.com/ )

Case study Corea del Sud e strategie di contenimento

Dopo la Cina, la Corea del Sud è il paese in cui sono stati rilevati più contagi da coronavirus (SARS-CoV-2) e in proporzione meno decessi: su 5.800 positivi, si sono verificati 35 morti. Il tasso di letalità sudcoreano è al momento inferiore all’1 per cento e al di sotto del dato medio globale della COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, attualmente intorno al 3,4 per cento. In Italia, per avere un termine di paragone, i casi positivi ai test sono stati finora 3.089 con 107 morti: ha un po’ più della metà dei contagi e il triplo dei morti.

È ancora presto per stabilire con certezza quali differenze abbiano portato la Corea del Sud ad avere da un lato così tanti casi positivi e, dall’altro, un numero relativamente basso di decessi. Se si osservano i dati messi a disposizione finora dal governo sudcoreano si nota che nel paese è stato eseguito un numero enorme di test, che ha reso possibili politiche di contenimento e pratiche cliniche più mirate per trattare da subito i casi di COVID-19, riducendo il rischio che progrediscano in gravi polmoniti (che per i soggetti più deboli e anziani possono rivelarsi letali). La Corea del Sud sembra avere soprattutto imparato dagli errori del passato.

Nel 2015 un’imprevista epidemia di MERS (altra grave sindrome respiratoria causata da un coronavirus) passò inosservata per diverso tempo a causa della mancanza di kit per effettuare i test sui pazienti, che si spostarono tra diversi ospedali cercando aiuto, diffondendo inconsapevolmente il contagio. Quando fu chiaro che cosa fosse andato storto, il governo decise di organizzare un sistema per le emergenze di questo tipo, che ora prevede il coinvolgimento di diverse aziende biomediche specializzate nella produzione di strumenti per rilevare le malattie virali. Dopo le prime notizie provenienti dalla Cina sulle polmoniti atipiche a Wuhan, la città epicentro della crisi sanitaria, e la diffusione della sequenza genetica dell’attuale coronavirus a metà gennaio, le aziende specializzate in biotecnologie sudcoreane si sono messe al lavoro per sviluppare un test.

Il processo di creazione e di approvazione da parte delle autorità del sistema ha richiesto poche settimane, concentrando nel tempo una pratica che in passato avrebbe richiesto all’incirca un anno per essere completata. La Corea del Sud ha finora eseguito più di 140mila test, utilizzando tamponi e analisi di laboratorio che si sono rivelati affidabili in oltre il 90 per cento dei casi. Per fare un confronto, in Italia sono stati eseguiti finora quasi 30mila test, con sistemi altrettanto affi- dabili, ma (soprattutto nell’ultima settimana) soltanto su individui che mostravano già sintomi tali da far sospettare la COVID-19. I test eseguiti su una porzione consistente della popolazione stanno consentendo alla Corea del Sud di control- lare la situazione, attuando politiche di contenimento più mirate rispetto a cosa avviene in altri paesi

A Seul, la capitale del paese, sono stati rilevati poco più di 100 casi da coronavirus, un numero piuttosto contenuto per una grande conurbazione che conta oltre 10 milioni di abitanti. Gli individui che risultano positivi e con sintomi lievi ven- gono tenuti da subito sotto controllo, sia per evitare nuovi contagi, sia per provare a ridurre l’insorgenza di sintomi più gravi e rischiosi. Anche per questo motivo, sostengono le autorità sanitarie locali, finora è stato possibile mantenere il tasso di letalità al di sotto dell’1 per cento. I responsabili dei centri di ricerca attribuiscono questo risultato alla capacità di intervenire più rapidamente sugli infetti, evitando ritardi.

13

Grazie allo sviluppo precoce di test affidabili, e a una notevole capacità di produzione dei kit necessari per realizzarli, in Corea del Sud si eseguono ogni giorno circa 10mila verifiche su altrettante persone. Le immagini delle postazioni lungo le strade, dove gli operatori sanitari effettuano i prelievi dagli automobilisti con sintomi sospetti, sono state ampiamente riprese dai media internazionali, ma non sono una semplice trovata comunicativa del governo per mostrare la presenza di numerosi controlli: si stanno rivelando una risorsa importante per valutare l’espansione del contagio, e cercare di preve- nirlo. Le persone restano inoltre nelle loro automobili, senza la necessità di entrare in contatto con altri, come avverrebbe in ospedale. Un numero così consistente di test comporta inevitabilmente la rilevazione di molti più casi positivi, conside- rato che secondo la maggior parte degli epidemiologi i casi effettivi di infezioni da coronavirus sono molto più numerosi di quelli di cui siamo a conoscenza.

La maggior quantità implica che risulti inferiore il rapporto con i decessi causati dalla malattia (il tasso di letalità). L’ap- proccio della Corea del Sud assomiglia a quello seguito in Italia subito dopo la scoperta dei primi contagi: furono eseguiti in poco tempo centinaia di test, anche su persone che non mostravano sintomi per verificare se fossero comunque già infette o nel periodo di incubazione (il tempo che intercorre tra il contagio e quando si manifestano i sintomi).  Nei giorni seguenti, il ministero della Salute e la Protezione Civile hanno cambiato approccio, disponendo che siano eseguiti i test solamente sui pazienti con sintomi tali da fare sospettare la COVID-19. Un’ipotesi è che – a differenza della Corea del Sud dove si eseguono molti più test – in Italia il numero effettivo di casi positivi sia ampiamente sottostimato, perché ora si eseguono i test solamente su persone con sintomi sospetti rilevanti.

Questo fa sì che ci sia una maggiore incidenza di decessi sul totale dei risultati positivi, banalmente perché sono di meno. La sottostima dei casi positivi in Italia è condivisa da diversi epidemiologi e virologi, come Ilaria Capua che in un’intervista sulla Stampa ha ricordato che i contagiati sono “molti di più” di quelli dichiarati: “Forse anche oltre 100 volte tanto”. Nella maggior parte dei casi, la COVID-19 comporta sintomi piuttosto lievi, e alcuni soggetti non si accorgono nemmeno di es- sersi ammalati, se non nel momento di picco della malattia.

Questo può contribuire a una maggiore diffusione del coronavirus, perché vuol dire che le persone mantengono una vita attiva anche quando iniziano a essere contagiose. È ancora presto per dire se l’approccio seguito in Corea del Sud (con contenimenti molto mirati e un numero enorme di test) sia più adeguato rispetto a quello seguito in molti altri paesi del mondo   come   l’Italia   (con   test   su   chi   ha   sintomi   importanti   e   contenimento   in   ampie   aree   geografiche). Su una scala molto più grande, la Cina ha applicato una strategia simile alla nostra e nelle ultime settimane ha ottenuto una riduzione nel numero di nuovi casi, ma con enormi costi sociali ed economici. Un’epidemia è un fenomeno complesso e ci potrebbero essere diversi altri fattori che condizionano i suoi effetti in un’area geografica, rispetto a un’altra. I virus tendono a tipicizzarsi assumendo caratteristiche diverse, a seconda delle condizioni in cui si replicano, e questocomplica i confronti tra luoghi con caratteristiche e popolazioni molto diverse.

Sul dato potrebbe inoltre influire il modo in cui sono ricondotti i singoli decessi alla COVID-19 o meno. In Corea del Sud i problemi legati al coronavirus non sono comunque indifferenti. Se da un lato è vero che il numero dei decessi è contenuto, dall’altro anche gli ospedali sudcoreani devono fare i conti con un alto numero di ricoveri. Più persone diagnosticate im- plica che ci siano più persone da seguire e da tenere isolate dal resto della popolazione. In diverse città i posti letto in ospedale scarseggiano, così come alcuni presìdi per tutelare il personale sanitario (mascherine, occhiali protettivi, ecc).

Epidemiologia

14

Immagine: Numero cumulativo di casi e decessi durante l‘epidemia del 2019-2020.2.24 (scala semi-logaritmica)

A febbraio 2020 il tasso di mortalità e di morbilità dovuti alla malattia non sono ancora ben chiari; mentre nel corso dell’attuale epidemia la mortalità tende a cambiare nel tempo, la percentuale di infezioni che progrediscono verso una malattia diagnosticabile rimane ancora non definita. Tuttavia, la ricerca preliminare sul COVID-19 ha rilevato un tasso di mortalità compreso tra il 9% e il 11% e, nel gennaio 2020, l’OMS ha suggerito che questo valore potesse essere di circa il

3%. Uno studio effettuato su 55 casi fatali ha rilevato che le prime stime sulla mortalità potrebbero essere troppo elevate poiché non sono state prese in considerazione le infezioni asintomatiche stimando, dunque, un rapporto medio di morta- lità per infezione (la mortalità tra gli infetti) compreso tra lo 0,8% includendo i portatori asintomatici e il 18% includendo solo i casi sintomatici della provincia di Hubei.

Un esame di 44.672 persone infette in Cina ha mostrato un tasso di mortalità del 3,4%. La mortalità è fortemente influen-

zata dall’età, dalle condizioni preesistenti, dal sesso e soprattutto dalla risposta del sistema sanitario. L’OMS il 12 Marzo

2020 ha dichiarato lo stato di pandemia.

Segni e sintomi

Immagine: Sintomi del coronavirus SARS-CoV-2

I sintomi più comuni sono febbre (88%) e tosse secca (68%) spossatezza (38%), espettorazione del muco quando si tossisce (33%), una mancanza di respiro nel 20% accompagnata da difficoltà respiratoria nel 15%, mal di gola (14%), mal di testa (14%), dolori muscolari (14%), brividi (11%) sono anch’essi comuni. Meno frequenti sono nausea e vomito (5%), naso chiuso (5%) e diarrea (4%). Il naso che cola non è un sintomo di Covid, in molti casi invece è stata rilevato come sintomo la congiuntivite.

Nei casi più gravi, spesso riscontrati in soggetti già gravati da precedenti patologie, si sviluppa polmonite, insufficienza renale acuta, fino ad arrivare anche al decesso.

Nella maggioranza dei casi, al momento del ricovero in ospedale, i segni vitali appaiono generalmente stabili, mentre gli esami del sangue mostrano comunemente un basso numero di globuli bianchi (leucopenia e linfopenia)

Medici cinesi hanno dimostrato che il nuovo coronavirus può causare danni al sistema nervoso centrale dei pazienti do- po aver ritrovato il coronavirus nel liquido cerebrospinale di un paziente.

Pertanto si deve considerare la possibilità di infezioni al sistema nervoso ed effettuare in tempo gli esami del liquido ce- rebrospinale, per evitare diagnosi tardive e ridurre ulteriormente il tasso di mortalità dei pazienti.

Il 5% delle persone a cui è stata diagnosticata la Covid richiede la respirazione artificiale. Un altro 15% ha bisogno di respi- rare ossigeno altamente concentrato – e non solo per pochi giorni. La durata dall’inizio della malattia fino alla guarigione è in media da 3 a 6 settimane per questi pazienti gravi e critici (rispetto alle sole 2 settimane per i pazienti leggermente malati). La stragrande maggioranza delle persone infette prima o poi sviluppa i sintomi. I casi di persone in cui il virus è stato rilevato e che non hanno sintomi in quel momento sono rari – e la maggior parte di loro si ammala nei giorni successivi.

15

Diagnosi

Il  test diagnostico per SARS-CoV-2 utilizza la reazione a catena della polimerasi inversa in tempo reale (rRT-PCR). Il test può essere eseguito su campioni di espettorato o di sangue. I risultati sono generalmente disponibili entro poche ore.

Aspetti radiologici

La COVID-19 ha come manifestazione clinica predominante la polmonite e l’imaging radiologico gioca un ruolo fondamen- tale nell’iter diagnostico, nel management e nel follow-up di questa malattia. L’esame radiografico standard (RX) del to- race è gravato da bassa sensibilità nell’identificazione delle alterazioni polmonari più precoci della COVID-19, caratteriz- zate da opacità a “vetro smerigliato”, pertanto l’esame radiologico non è indicato nelle fasi iniziali della malattia, potendo risultare completamente negativo.

Necessario, tuttavia, considerare che in molte delle infezioni polmonari acquisite in comunità, le alterazioni si rendono manifeste all’RX del torace entro un intervallo di tempo – di solito 12 ore – dall’inizio della sintomatologia e, quindi, l’esame può essere negativo se effettuato troppo precocemente. Nelle fasi più avanzate dell’infezione l’esame RX del torace mostra opacità alveolari multifocali bilaterali, che tendono alla confluenza sino all’opacamento completo del pol- mone, con possibile piccola falda di versamento pleurico associato. Di contro, la TC del torace, in particolare la TC ad alta risoluzione (HRCT), è la metodica di scelta nello studio della polmonite COVID-19, anche nelle fasi iniziali, data l’elevata sensibilità della metodica. La polmonite COVID-19 presenta reperti e pattern HRCT vari ed aspecifici, potendo trovarsi anche in altre infezioni polmonari, come quella da Influenza A (H1N1), da CMV, da altri coronavirus (SARS, MERS), da streptococco e nelle polmoniti da germi atipici (Clamydia, Mycoplasma).

La diagnosi di COVID-19 dovrebbe fondarsi sulla combinazione di dati epidemiologici, clinici e radiologici, e sui risultati del test RT-PCR, considerato il gold standard diagnostico.  I reperti radiologici di più comune riscontro in HRCT, per quanto aspecifici, sono rappresentati da aree a “vetro smerigliato” multifocali bilaterali associate ad aree di consolidazione con distribuzione a chiazze, prevalentemente periferiche/subpleuriche e con maggior coinvolgimento delle regioni posteriori e dei lobi inferiori.

Il riconoscimento da parte del medico radiologo delle caratteristiche più peculiari all’imaging HRCT della polmonite COVID-

19 è di cruciale importanza nella identificazione in fase iniziale della malattia, nella valutazione di severità e nella corretta interpretazione delle modificazioni temporali del quadro radiologico durante il follow-up, fino alla risoluzione. In tale con- testo, l’imaging HRCT svolge un ruolo anche nella identificazione di eventuali casi di non completa risoluzione o di possibile re-infezione.

 

 

 

 

 

16

 

Immagine: TC di un paziente con polmonite COVID-19

Prognosi

Il tasso di letalità apparente, secondo i dati al 29 gennaio 2020, è di circa il 3%. Purtroppo i dati italiani riportano un tasso di letalità intorno al 6%  

– Coronavirus: il tasso di mortalità per età

Età (anni) Tasso di mortalità
>80 14,8%
70-79 8%
60-69 3.6%
50-59 1.3%
40-49 0.4%
30-39 0.2%
20-29 0.2%
10-19 0.1%
0-9 0%

Tasso di mortalità per chi ha altre condizioni mediche

I medici e i ricercatori cinesi hanno messo in evidenza quali sono le probabilità di morire per COVID-19 in caso di cosiddetta comorbidità, cioè la presenza di condizioni cliniche preesistenti oltre all’infezione scaturita dal coronavirus. Dall’analisi dei dati sui casi confermati è emerso che la probabilità di morire varia in base alla patologia di cui si soffre. Anche in questo caso è importante sottolineare che i valori non rappresentano le percentuali di decessi legati a una determinata patologia, ma le probabilità di morire per COVID-19 per un paziente in presenza della stessa. Le condizioni più letali sono risultate essere quelle legate all’apparato cardiovascolare, che rappresentano la principale causa di morte nei paesi industrializzati (assieme a quelle oncologiche). Condizioni preesistenti: Il tasso di mortalità per le persone infettate da malattie cardiova- scolari preesistenti in Cina è stato del 13,2%. È stato del 9,2% per le persone infettate con alti livelli di zucchero nel sangue (diabete non controllato), dell’8,4% per l’ipertensione, dell’8% per le malattie respiratorie croniche e del 7,6% per il cancro. Le persone infette senza una malattia precedente rilevante sono morte nell’1,4% dei casi.

-Tasso di mortalità per genere:

Genere: le donne prendono la malattia con la stessa frequenza degli uomini. Ma solo il 2,8% delle donne cinesi che ha contratto l’infezione è morto a causa della malattia, mentre il 4,7% degli uomini infetti è morto. La malattia non sembra essere più grave nelle donne in gravidanza. In 9 nascite esaminate di donne infette, i bambini sono nati con il parto cesareo e sani senza essere stati infettati. Le donne sono state infettate nell’ultimo trimestre di gravidanza. Attualmente non è chiaro quale effetto abbia l’infezione nel primo o nel secondo trimestre sugli embrioni, poiché questi bambini non sono ancora nati.

18

L’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato martedì che il tasso di letalità globale per il coronavirus è circa il 3,4%. Il tasso di letalità di una malattia è diverso dal suo tasso di mortalità – quest’ultimo è il numero di decessi rispetto al numero di persone in una popolazione a rischio. Un tasso di letalità non riflette la probabi- lità che una determinata persona muoia se infetta.

Terapia

Non esiste alcun trattamento specifico contro i coronavirus e le infezioni che quest’ultimi provocano.In genere, a un pa- ziente in buona salute, con una comune infezione da coronavirus, i medici raccomandano di:

libuprofene, il paracetamolo e l‘aspirina.

Nei casi più gravi si potrebbe rendere necessario un trattamento finalizzato al sostegno delle funzioni vitali, come la  ven- tilazione artificiale o l’ECMO. Dal punto di vista della terapia intensiva (quindi analizzando i casi gravi) ci si trova di fronte a una malattia caratterizzata da una polmonite bilaterale interstiziale, che rientra a pieno nella definizione di ARDS ovvero una condizione acuta con ipossiemia grave e infiltrati polmonari bilaterali non attribuibile ad una disfunzione ventricolare sinistra. Ma dal punto di vista ventilatorio ha qualche peculiarità rispetto alle ARDS. Sembra che la caratteristica principale sia la grave ipossiemia associata ad una compliance dell’apparato respiratorio superiore a quella che si rileva nei casi di grave sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS. La sindrome del distress respiratorio acuto (ARDS) è una malattia acuta grave del polmone, che di solito si manifesta in terapia intensiva. E’ caratterizzata dal danno diffuso della membrana alveolo-capillare, che determina un edema polmonare non cardiogenico ricco di proteine (accumulo di fluidi nel polmone) e insufficienza respiratoria acuta (ARF). L’ARDS provoca una grave ipossiemia, che è refrattaria all’ossigeno-terapia e ne- cessita di ventilazione assistita.

La gravità della condizione patologica è stata definita mediante il rapporto tra la tensione arteriosa dell’ossigeno (PaO2,

misurata in termini di mmHg) e la frazione di ossigeno nell’aria inspirata (FiO2). ARDS lieve: 200 mmHg<PaO2/FiO2≤300 mmHg

ARDS Moderata: 100 mmHg<PaO2/FiO2≤200 mmHg

ARDS grave: PaO2/FiO2≤100 mmHg

Il paziente “tipo” con COVID-19, ha una gravissima disfunzione polmonare, con un PaO2/FiO2 di circa 100 mmHg (anche meno), e di solito risponde bene alla pronazione con cicli di pronazione di circa 16 ore ciascuno Tuttavia secondo alcuni rianimatori siamo di fronte ad un paziente che non gradisce molto la ventilazione non-invasiva. Se ha un’ipossiemia grave, la ventilazione non-invasiva spesso rinvia l’inizio della terapia efficace, che è l’intubazione tracheale con la ventilazione meccanica invasiva

La ventilazione meccanica è una forma di terapia strumentale che, attraverso un ventilatore meccanico, supporta il pa- ziente con insufficienza respiratoria grave, permettendogli di ventilare adeguatamente e mantenendo scambi gassosi nella norma fra polmoni e ambiente.

Il ventilatore può essere impostato:

In modalità volumetrica: ha l’obiettivo di far sì che il paziente mantenga un volume corrente costante stabilito dall’operatore. Distinguiamo:

  • ventilazione a volume controllato (VC): il ventilatore non rileva gli sforzi respiratori del paziente ed eroga gli atti respiratori secondo una frequenza al minuto stabilita. Viene stabilito un volume corrente per ogni atto respira- torio e il ventilatore continua ad insufflare aria fino al raggiungimento di quel valore, dopodiché si interrompe l’insufflazione e si apre la valvola per consentire la fuoriuscita di aria, ovvero l’atto espiratorio;

19

  • ventilazione a volume assistito – controllato/Assist Control (AC): il ventilatore fornisce un atto respiratorio ogni volta che il paziente inizia a respirare. Il ventilatore, infatti, percepisce una pressione negativa data dallo sforzo inspiratorio ed eroga un atto respiratorio secondo il volume corrente impostato;
  • ventilazione sincronizzata obbligata intermittente/Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation (SIMV): è la modalità di ventilazione utilizzata in fase di svezzamento dal ventilatore. Gli atti erogati dal respiratore si sin- cronizzano con l’inspirazione del paziente. Se il paziente non dà inizio ad un atto respiratorio spontaneo, il ven- tilatore interviene erogando un atto respiratorio. Il volume corrente varia in base agli sforzi del paziente, ma il ventilatore garantisce che il paziente effettui un numero minimo prestabilito di atti al minuto

In modalità pressometrica: il VM eroga sempre le stesse pressioni positive scelte dall’operatore, a prescindere dal vo-

lume corrente che sarà poi sviluppato dal paziente.

  • ventilazione a pressione controllata (PCV): è il ventilatore che determina il tempo di inspirazione, senza che vi sia la partecipazione del paziente. Viene programmata una pressione di picco inspiratorio (PIP) e il ventilatore in- suffla aria fino al raggiungimento del valore di pressione impostato. Raggiunto il limite, il ventilatore interrompe l’insufflazione e apre la valvola che consente la fuoriuscita dell’aria e quindi la fase espiratoria;
  • ventilazione con supporto pressorio/Pressure Support Ventilation (PSV): è la modalità di ventilazione utilizzata quando il paziente respira spontaneamente, ma non è ancora pronto per essere estubato. Ogni atto respiratorio è iniziato e sostenuto dal paziente. Il ventilatore applica una pressione costante nelle vie aeree durante tutta l’inspirazione, che si sincronizza con lo sforzo inspiratorio del paziente;
  • Ventilazione meccanica a pressione positiva continua/Continuous Positive Airway Pressure (CPAP): il ventilatore somministra al paziente una pressione elevata continua che si sovrappone alla ventilazione spontanea del pa- ziente, migliorando l’ossigenazione e riducendo lo sforzo ventilatorio e il lavoro cardiaco.

In generale per pazienti Covid sembrerebbero efficaci queste raccomandazioni

1) non insistere con la ventilazione non-invasiva nei casi gravi;

2) utilizzare la PEEP (valore minimo di pressione positiva di fine espirazione) quindi una PEEP più elevata che in altri pa- zienti. Con il termine PEEP si intende la pressione di fine espirazione che viene applicata al paziente quando viene ventilato mediante un supporto meccanico invasivo o non invasivo. Generalmente la pressione di fine espirazione in un polmone sano è pari a 0 cmH2O, ma quando viene applicata una PEEP, tale pressione viene aumentata; la PEEP generalmente viene usata per cercare di evitare un collasso degli alveoli e delle vie aeree periferiche.

3) curare precocemente i pazienti più gravi.

ECMO

La tecnica dell’ossigenazione extracorporea mediante membrana (ECMO) permette un’ossigenazione artificiale completa del sangue, con la temporanea rimozione dell’anidride carbonica, con l’utilizzo di un ossigenatore a membrana, una pompa e due cannule di grande portata.

Le terapie possibili

Quali sono le molecole più promettenti nella cura del nuovo coronavirus? Attualmente sono più di 80 i trial clinici in atto per lo studio di possibili antivirali contro il nuovo coronavirus. Il coordinamento e il monitoraggio di questo immenso lavoro è in mano all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Uno dei punti più delicati riguarda la standardizzazione dei protocolli di ricerca. Per far sì che i risultati siano immediatamente e contemporaneamente riproducibili e verificabili da centri di ricerca indipendenti tra loro, è necessario che tutti rispettino fedelmente le regole legate a come trattare i gruppi di controllo, la randomizzazione e ovviamente la misura precisa e finale dei risultati clinici. “La priorità è anzitutto quella di far sì che i trial clinici siano condotti correttamente”, ha dichiarato Souma Swaminathan, responsabile scientifico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “In questo modo possiamo capire più facilmente quale trattamento funziona e quale non funziona, e i pazienti potranno avere benefici più rapidamente”.

20

A febbraio 2020 sono stati iniziati test sull’impiego di alcuni farmaci per contrastare l’infezione del virus, tra questi: gli antivirali Remdesivir (impiegato anche per trattare l’infezione da Ebola e la Henipavirus) e Triazavirin (già preso in consi- derazione per la febbre di Lassa, lEbola e l’influenza aviaria) e la clorochina (utilizzata contro la malaria). La lista delle molecole possibili candidate come farmaci efficaci vede:

Remdevisir

Il remdesivir, sviluppato dall’americana Gilead Sciences, è un antivirale studiato come trattamento per la malattia da virus Ebola e le infezioni da virus di Marburg. Diversi studi hanno dimostrato la sua efficacia come antivirale contro virus diversi. La Gilead ha concesso il farmaco in uso compassionevole alla Cina Il suo meccanismo di funzionamento si basa sul blocco degli enzimi usati dai virus per replicarsi nelle cellule umane. Fu sviluppato negli anni delle epidemie causate da ebola in Africa occidentale tra il 2013 e il 2016. La sperimentazione inizialmente portò a risultati che sembravano positivi (peraltro con scarsi effetti collaterali) ma poi si rivelò di scarsa efficacia in quel contesto mentre qualche anno prima aveva dato risultati promettenti per il trattamento di alcuni casi di MERS, sindrome causata da un altro coronavirus e che si era diffusa nel Medio Oriente. Ulteriori studi avevano messo in evidenza la capacità del farmaco di contrastare la replicazione di altri coronavirus, compreso quello che causa la SARS, un’altra sindrome respiratoria grave il cui virus ha diverse caratteristiche simili a quello dell’attuale crisi sanitaria. Attualmente, il remdesivir non è approvato dalla Food and Drug Adminstration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che si occupa dei farmaci, né da altri organismi di controllo in giro per il mondo. Verrà testato in due studi clinici di fase 3 che coinvolgeranno anche l’Italia (fonte AIFA). Gli studi saranno inizialmente condotti presso l’Ospedale Sacco di Milano, il Policlinico di Pavia, l’Az. Ospedaliera di Padova, l’Az. Ospedaliera di Parma e l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. Più avanti saranno identificati anche altri centri in altre regioni che dovessero presentare un’alta incidenza di infezioni da coronavirus. I due protocolli al via in Italia valuteranno l’efficacia di remdesivir in due bracci di pazienti con diversa durata di terapia. Un gruppo di pazienti con polmonite da coronavirus associata a compromissione della funzionalità respiratoria e un altro con polmonite ma non ancora associata a un’altera- zione della saturazione di O2 rilevante.

Ci sono i primi segnali negli Stati Uniti che un trattamento sperimentale può essere attivo entro 24 ore dalla prima dose. I funzionari sanitari federali stanno rimuovendo gli ostacoli nel tentativo di implementare i trattamenti il più rapidamente possibile. In via preliminare, sembra che almeno due pazienti ospedalizzati che hanno ricevuto remdesivir abbiano iniziato a sentirsi meglio il giorno successivo. (Fonte:  https://www.nbcnews.com/health/health-news/experimental-drug-holds- promise-treating-coronavirus-n1158316)

Clorochina

La clorochina invece è un’antimalarico dimostratosi efficace in vitro e su modelli animali contro numerosi virus tra cui il coronavirus della SARS. L’idea di usare la clorochina contro il coronavirus della SARS fu avanzata da Andrea Savarino, ora ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2003 attraverso la rivista scientifica  Lancet Infectious Diseases. L’ipotesi si basava su un’analisi della letteratura da cui si evinceva un effetto antivirale ad ampio spettro della clorochina. Inoltre quest’ipotesi teneva conto delle proprietà immunomodulanti del farmaco, usato talvolta con successo nel trattamento dell’artrite reumatoide. Nel 2009 sempre il gruppo del Prof. Van Ranst mostrò l’efficacia in vivo della clorochina, su un modello animale (topi infettati con un altro coronavirus).

Enoxaparina sodica

Studi in vitro condotti da un gruppo di ricercatori cinesi hanno rivelato che il virus SARS-CoV-2 sembra scomparire a con- tatto con elevate concentrazioni di enoxaparina sodica, un anticoagulante fra i più utilizzati per la prevenzione del trom- boembolismo venoso. L’interessante scoperta ha indotto gli scienziati cinesi ad avviare studi clinici, somministrando un alto dosaggio del principio attivo a pazienti colpiti da Covid-19, e i risultati preliminari sembrano molto promettenti. He- palink Group, leader mondiale nella produzione di eparine, ha infatti iniziato due trial clinici in Shenzhen No. 3 presso il People’s Hospital e presso il Concord Hospital legato al Tongji Medical School, all’interno del complesso universitario Middle China Science & Technology University, volti a confermare e ad approfondire i dati.

A fronte di queste importanti evidenze scientifiche, l’azienda Techdow – controllata italiana di Hepalink – sta attualmente

dialogando con l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) per far partire anche in Italia una sperimentazione clinica, con l’obiet-

21

tivo di verificare l’efficacia di enoxaparina nell’eliminazione del virus SARS-CoV-2 e testare sul campo i risultati che ci arrivano dalla Cina. Ora l’utilità del noto anticoagulante sembra andare oltre, poiché dal lontano Oriente giungono dati che suggeriscono un suo ruolo sul meccanismo stesso di azione del virus: mettendo a contatto in vitro l’enoxaparina sodica in concentrazione elevata con il nuovo coronavirus, il principio attivo sembra determinare una significativa ridu- zione dell’agente patogeno, che si legherebbe all’eparina invece di attaccare le cellule dell’organismo: l’eparina è infatti caratterizzata da una struttura molecolare simile a quella del sito della parete cellulare a cui aderisce il SARS-CoV-2 prima di penetrare nella cellula. Dati così incoraggianti hanno spinto i ricercatori cinesi ad avviare alcune sperimentazioni cliniche direttamente su pazienti infettati, utilizzando il farmaco per contrastare il virus, a dosaggi superiori a quelli usati per la profilassi e sino alla riduzione dei marker infiammatori e alla negativizzazione dei test.

“Sulla base di questi significativi risultati – spiega il professor Andrea Stella, Scientific Advisor di Techdow Pharma Italy – Techdow è ora in fase di discussione con AIFA e intende mettere a disposizione le proprie competenze scientifiche per promuovere anche in Italia uno studio clinico sull’uso sperimentale di enoxaparina sodica nei pazienti affetti dal nuovo coronavirus, prevedendo l’impiego di un dosaggio del farmaco più alto rispetto a quello utilizzato di norma per la profilassi del tromboembolismo venoso. L’auspicio è che enoxaparina possa confermare la propria efficacia nell’indebolire il virus, offrendo così una nuova potenziale arma nella lotta alla temibile infezione da COVID-19”. https://www.pharmastar.it/news/altre-news/covid-19-raccomandata-dalloms-per-i-pazienti-ospedalizzati-enoxaparina- potrebbe-contribuire-anche-a-contrastare-il-virus-31679

Lopinavir/Ritonavir

Un’altra possibile terapia, già peraltro utilizzata su due pazienti cinesi ricoverati all’Istituto Spallanzani, è basata sulla som- ministrazione combinata di lopinavir/ritonavir (Kaletra) due antivirali comunemente utilizzati per curare l’infezione da HIV e che ha mostrato un’attività antivirale anche sui coronavirus.

Il Kaletra fu saggiato empiricamente in pazienti con SARS da VCC Cheng et al. del Queen Mary Hospital di Hong Kong durante l’epidemia del 2003, i quali riportarono qualche beneficio nei pazienti trattati. Questo farmaco appartiene alla categoria degli inibitori della proteasi di HIV, un enzima fondamentale per il taglio finale delle varie componenti virali. Il fatto che in seguito fosse stato dimostrato inibire anche una proteasi del virus della SARS fu piuttosto stupefacente, perché la proteasi di HIV e quelle dei coronavirus non condividono somiglianze strutturali.

L’idea di usare la clorochina in combinazione con lopinavir e ritornavir contro il coronavirus della SARS fu lanciata per la prima volta sempre da Savarino nel 2005, basandosi su osservazioni da lui precedentemente effettuate in cellule infettate con un virus di una famiglia diversa (HIV). Il principio è che la clorochina mostra un effetto antivirale sinergico con il lopi- navir, a causa del fatto che i due farmaci somministrati insieme bloccano alcune pompe come la glicoproteina P, che attraversano la membrana delle cellule e che estrudono dalla cellula il lopinavir. Questo effetto permetterebbe una mi- gliore penetrazione del farmaco nei tessuti. Dato che queste pompe di membrana sono ubiquitarie nei tessuti, si ipotizzò che questo effetto potesse anche sussistere nelle cellule che sono bersaglio dei Coronavirus. Si è visto che la clorochina ed il ritonavir (una delle due componenti di lopinavir/ritornavir) hanno un effetto inibitorio sul nuovo coronavirus nCoV

2019, che condivide con il virus della SARS circa l’80% del genoma. Come il remdesivir, anche queste due molecole agi- scono sugli enzimi usati dai virus per replicarsi all’interno delle cellule.

Secondo alcuni test preliminari condotti in vitro in un laboratorio dell’Università di Zhejiang dal team di ricercatori cinesi guidati da Li Lanjuan, una delle principali ricercatrici cinesi impegnata nella ricerca della cura contro la malattia, la cura per sconfiggere il coronavirus potrebbe essere rappresentata da  due farmaci l’Arbidol e il Darunavir, che potrebbero ini- bire il virus. Il team è convinto di quanto afferma e la ricercatrice Li Lanjuan avrebbe già chiesto che i due medicinali venissero inseriti nel programma di cure elaborato dalla Commissione sanitaria nazionale contro il virus 2019-nCoV. Se- condo quanto affermato da Chen Zuobing, membro del team, i due farmaci (per cui serve la prescrizione medica) sono stati usati per curare i pazienti della provincia.

Umifenovir

Arbidol (conosciuto anche come umifenovir) è un medicinale antivirale, utilizzato per l’infezione influenzale in Russia e in

Cina. Il farmaco è candidato per il trattamento di epatite C. Il farmaco, al momento, risulta non approvato per l’uso nei

Paesi occidentali. Non compare tra i farmaci approvati dalla FDA. La casa produttrice è Pharmstandard, la principale azienda farmaceutica russa impegnata nello sviluppo e nella produzione di medicinali avanzati.

Darunavir

Il trattamento con Darunavir (conosciuto anche con il nome Prezista) è, invece, approvato anche per l’utilizzo in Europa. Il farmaco, co-somministrato con una bassa dose di ritonavir è indicato in associazione con altre terapie antiretrovirali per il trattamento antiretrovirale dei pazienti affetti dal virus dell’immunodeficienza umana, HIV-1. A scoprire il medicinale è stata la Janssen-Cilag, azienda del gruppo Johnson & Johnson con sede in Belgio, che nel 2015 ha rinunciato al brevetto con l’obiettivo di sviluppare, con le altre case farmaceutiche, terapie per lo sviluppo di nuove formulazioni pediatriche di farmaco per l’HIV. Tra i produttori c’è la casa farmaceutica Mylan, dei Paesi Bassi, è una delle più grandi aziende di farmaci equivalenti (e non solo) al mondo. La società produce più di 1400 medicinali.

Per quanto riguarda Darunavir, remdesivir e clorochina sono i tre farmaci che fanno parte della cosiddetta “cura cinese”conto il Coronavirus (essendo stati sperimentati dall’Università di Zhejiang).

Immagine: protocolli di cura della Regione Lombardia

24

Il fatto che Covid-19 dia origine a una fortissima infiammazione scatenando la tempesta di citochine ha portato gli scien- ziati a concentrarsi anche su questi aspetti.

Una tempesta di citochine, detta anche ipercitochinemia, è una reazione immunitaria potenzialmente fatale. Consiste in una reazione a catena che coinvolge le citochine e i globuli bianchi, in cui i livelli delle varie citochine sono estremamente elevati. In alcuni casi la reazione immunitaria può essere fatale. Perché si scatena la tempesta di citochine? Quando il sistema immunitario combatte i microrganismi patogeni, le citochine segnalano alle cellule immunitarie come le cellule T e i macrofagi la necessità di viaggiare verso il sito dell’infezione. Inoltre, le citochine attivano le stesse cellule, stimolandole a produrre altre citochine. Normalmente, il corpo ha dei sistemi che regolano questo meccanismo, ma in alcuni casi la reazione diventa incontrollata, e troppe cellule immunitarie sono attivate in un unico luogo. La ragione precisa non è completamente compresa, ma può essere causata da una risposta esagerata del sistema immunitario nei confronti di un invasore nuovo e percepito come altamente patogeno. Le tempeste di citochine possono danneggiare significativamente i tessuti e gli organi del corpo. Se una tempesta di citochine avviene nei polmoni, ad esempio, può verificarsi un accumulo di fluidi e cellule immunitarie che può a sua volta bloccare le vie respiratorie e portare alla morte. La tempesta di citochine è l’espressione sistemica di un sistema immunitario forte e in salute, che rilascia più di 150 mediatori conosciuti dei pro- cessi infiammatori (citochine, radicali liberi e fattori di coagulazione).

Sia le citochine pro-infiammatorie (come il fattore di necrosi tumorale alfa, l‘interleuchina 1 e l‘interleuchina 6) sia le citochine infiammatorie (come linterleuchina 10 e il ricettore antagonista dell’Interleuchina 1) sono elevate nel siero dei pazienti affetti da tempesta di citochine. La tempesta di citochine può verificarsi in un certo numero di malattie infettive e non, tra cui la malattia del trapianto contro l’ospite (GVHD), la sindrome da distress respiratorio (ARDS), la sepsi, l’Ebola, l’influenza aviaria, il vaiolo e la sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS). La tempesta di citochine può anche essere indotta da alcune medicine. Il farmaco sperimentale TGN1412 causò sintomi molto gravi, probabilmente dovuti ad una tempesta di citochine, quando fu somministrato a sei individui che partecipavano a un trial clinico di Fase I. Il primo riferimento all’espressione tempesta di citochine nella letteratura medica risale a Ferrara et al. nella GVHD, nel febbraio del 1993.

 

Si crede che le tempeste di citochine siano state responsabili di molte vittime durante la pandemia di influenza del 1918, che uccise un numero sproporzionato di giovani adulti. In questo caso, un sistema immunitario sano potrebbe aver costi- tuito uno svantaggio. I risultati preliminari delle ricerche da Hong Kong hanno anche indicato che la stessa ragione po- trebbe essere alla base di molte delle morti durante l’epidemia di SARS nel 2003. Anche le morti umane dell’epidemia aviaria H5N1 solitamente implicano una tempesta di citochine. L’alta mortalità recentemente riportata tra i giovani sani durante l’epidemia di influenza suina del 2009 ha portato ad ipotizzare che le tempeste di citochine possano essere re- sponsabili di queste morti, anche perché l’influenza suina risulta appartenere allo stesso ceppo dell’influenza spagnola del

  1. 1918. Tuttavia, i Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CDC) hanno indicato che i sintomi riportati da questo ceppo sono finora simili a quelli di una normale influenza stagionale, e hanno affermato che al momento vi sono “informazioni insufficienti sulle complicazioni cliniche di questa variante dell’infezione virale da influenza A di origine suina (H1N1).” La tempesta di citochine è anche implicata nella sindrome polmonare da hantaviru

 

Tocilizumab

 

Il tocilizumab, è un anticorpo monoclonale umanizzato sviluppato dalla casa farmaceutica Hoffmann-La Roche e posto in vendita con il nome commerciale di RoActemra. È un farmaco immunosoppressore, studiato soprattutto per il tratta- mento dell’artrite reumatoide (AR), dell’artrite idiopatica giovanile sistemica, una grave forma di artrite reumatoide dei bambini, nell’arterite a cellule giganti o Horton. Il tocilizumab è attivo contro i recettori di membrana e solubili dell’inter- leuchina-6 (IL-6R). L’interleuchina-6 (IL-6) è una citochina che gioca un ruolo importante nella risposta immunitaria ed è implicata nella patogenesi di molte malattie, quali le malattie autoimmuni, il mieloma multiplo e il cancro della prostata. Nel 2016 è stato oggetto di un trial, con riscontri positivi, per il trattamento di gravi casi di asma con componente immu- nodegenerativa. Tuttavia, non è stato ancora approvato per il trattamento di tale patologia. Il tocilizumab è stato speri- mentato in Cina e in Italia contro gli effetti del virus SARS-CoV-2 nel corso della pandemia di COVID-19 del 2019-2020. Il primo utilizzo del farmaco in Italia nel trattamento dell’infezione da COVID-19 durante la pandemia del 2020 è stato reso possibile da una stretta collaborazione tra il direttore della Unità operativa complessa di Oncologia dell’Azienda Ospeda- liera dei Colli, il direttore dell’Unità di Oncologia, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto “Pascale”

 

di Napoli e ricercatori cinesi della Università di scienze e tecnologia della Cina. A distanza di 24-48 ore dall’infusione,

25

 

sono stati evidenziati nei pazienti trattati dei miglioramenti definiti incoraggianti dai medici curanti. In Cina sono stati trattati ventuno pazienti, che hanno mostrato importanti segni di miglioramento del quadro clinico già nelle prime 24-48 ore dall’inizio della terapia. Il trattamento viene effettuato in un’unica somministrazione, senza interferire con il protocollo terapeutico basato sulla somministrazione di farmaci antivirali. Allo stesso tempo, i ricercatori cinesi stanno testando il farmaco biologico in uno studio clinico che prevede di includere 188 pazienti con sars-cov-2, che durerà fino al 10 maggio. Roche, che nel mese di febbraio ha donato tocilizumab per un valore di circa 2 milioni di dollari, ha affermato che il pro- cesso è stato avviato in modo indipendente da una terza parte. Con l’obiettivo di esplorare l’efficacia e la sicurezza del farmaco.

Da notare come nella tempesta di citochine siano coinvolte anche l’interleuchina 1 e il TNF alfa. E’ pertanto ipotizzabile che si possano utilizzare anche gli anticorpi anti-Tnf alfa come adalimumab (Humira) ed etanercept (Enbrel). Per quanto riguarda l’interleuchina 1 invece abbiamo solo a disposizione anakinra (Kineret) che è tuttavia presente solo in compas- sionevole.

L’Azienda ospedaliera di Padova sta procedendo con la sperimentazione di tocilizumab, che ha dato già buoni esiti su malati di Covid 19. Il farmaco è stato somministrato a undici pazienti in Rianimazione secondo il direttore di Fisiopatologia respi- ratoria Andrea Vianello, e gli effetti sono stati abbastanza favorevoli. È ovviamente prematuro certificare l’efficacia, la sperimentazione è all’inizio. Dovranno essere valutati gli effetti positivi egli eventuali effetti collaterali anche se il tocilzu- mad è un farmaco normalmente ben tollerato. Può causare un abbassamento delle difese immunitarie quindi il suo utilizzo va evitato in presenza di infezioni concomitanti di cui potrebbe favorire l’acuirsi. Inoltre ha un blando effetto gastrointe- stinale». Quella padovana è ad oggi la più alta casistica di utilizzo del farmaco per l’artrite reumatoide nella terapia contro il Covid 19. Il farmaco viene somministrato una sola volta per via endovenosa, solo in alcuni casi viene effettuata una seconda  somministrazione  a  distanza  di  24  ore.

(Fonte: https://mattinopadova.gelocal.it/regione/2020/03/20/news/coronavirus-i-medici-di-padova-la-cura-con-il-tocili- zumab-funziona-1.38616747)

L’elenco delle possibilità terapeutiche in corso di valutazione è ancora lungo: dagli steroidi per ridurre i sintomi dei pa- zienti più gravi e da non sottovalutare perché in grado di bloccare la cascata delle citochine, alle infusioni di siero dei pazienti guariti spontaneamente, dai trattamenti della medicina tradizionale cinese, alle cellule staminali.

 

Potenziali trattamenti per COVID-19: Camostat mesilato

– Un noto farmaco chiamato Camostat Mesilato funziona inibendo la proteasi TMPRSS2, il team di biologi del German

Primate Center – Leibniz Institute for Primate Research di Göttingen, insieme ai colleghi di Charité – Universitätsmedizin Berlin ha indagato se il farmaco può anche prevenire l’infezione con SARS-CoV-2 ed ha testato il farmaco scoprendo che è efficace nel bloccare l’ingresso del virus nelle cellule polmonari. Camostat mesilato è un farmaco approvato in Giappone per l’infiammazione del pancreas. Il farmaco sta mostrando risultati promettenti come potenziale trattamento per i pa- zienti con infezione o come agente protettivo contro COVID-19.  Tuttavia deve ancora essere testato negli studi clinici prima di poter essere utilizzato sui pazienti.

Favipiravir

Le autorità cinesi sostengono che un farmaco giapponese si è dimostrato efficace nel trattamento dei pazienti contagiati da coronavirus. Zhang Xinmin, dirigente del Ministero cinese della Tecnologia e della Scienza, secondo il Guardian ha evidenziato i risultati ottenuti grazie all’impegno del favipiravir (Avigan). Il farmaco sarebbe stato utilizzato con successo nel trattamento di 340 pazienti tra Wuhan e Shenzhen. I pazienti a cui è stato somministrato il farmaco sarebbero risultati negativi, in media, a 4 giorni dalla positività. L’emittente NHK afferma che i pazienti non trattati, invece, avrebbero impie- gato 11 giorni per arrivare allo stesso risultato. Inoltre, le radiografie avrebbero confermato miglioramenti nelle condizioni polmonari del 91% dei pazienti a cui è stato somministrato il farmaco. La percentuale scende al 62% se si considera chi non ha ricevuto il favipiravir. Nessun commento ufficiale, al momento, dalla Fujifilm Toyama Chemical, che ha sviluppato il farmaco.  Le  dichiarazioni  di  Zhang  sono  state  ridimensionate  da  un’anonima  fonte  del  ministero  della  Sanità

26

giapponese: “Abbiamo dato l’Avigan a 70-80 persone, ma non sembra funzionare così bene quando il virus si è già molti- plicato”, le parole della fonte al Mainichi Shimbun. (Fonte:  ADNKronos )

Baricitinib

Data l’ampiezza e la rapida diffusione della nuova malattia respiratoria acuta del 2019 coronavirus (2019-nCoV), vi è una necessità immediata di medicinali che possano aiutare prima di poter produrre un vaccino. Risultati del sequenziamento rapido di 2019-nCoV, abbinati a modelli molecolari basati sui genomi delle proteine virali correlate, 1

hanno suggerito alcuni composti che potrebbero essere efficaci, inclusa la combinazione lopinavir anti-HIV più ritonavir. Il grafico delle conoscenze di BenevolentAI è un ampio archivio di informazioni mediche strutturate, tra cui numerose connessioni estratte dalla letteratura scientifica mediante l’apprendimento automatico.2

Insieme alle personalizzazioni su misura per 2019-nCoV, abbiamo usato BenevolentAI per cercare farmaci approvati che potrebbero aiutare, concentrandosi su quelli che potrebbero bloccare il processo di infezione virale. Abbiamo identificato baricitinib, che è previsto per ridurre la capacità del virus di infettare le cellule polmonari.

La maggior parte dei virus entra nelle cellule attraverso l’endocitosi mediata dal recettore. Il recettore che 2019-nCoV utilizza per infettare le cellule polmonari potrebbe essere ACE2, una proteina della superficie cellulare sulle cellule del rene, dei vasi sanguigni, del cuore e, soprattutto, delle cellule epiteliali alveolari polmonari AT2. Queste cellule AT2 sono particolarmente soggette a infezione virale.

Uno dei regolatori noti dell’endocitosi è la proteina chinasi 1 associata ad AP2 (AAK1). L’interruzione di AAK1 potrebbe, a sua volta, interrompere il passaggio del virus nelle cellule e anche l’assemblaggio intracellulare di particelle virali.

Di 378 inibitori AAK1, 47 sono stati approvati per uso medico e sei AAK1 inibito con elevata affinità. Questi includevano una serie di farmaci oncologici come sunitinib ed erlotinib, entrambi i quali hanno dimostrato di inibire l’infezione virale delle cellule attraverso l’inibizione di AAK1.5

Tuttavia, questi composti portano gravi effetti collaterali e i nostri dati deducono alte dosi per inibire efficacemente l’AAK1. Si ritiene che questi farmaci sarebbero una terapia sicura per una popolazione di persone malate e infette.

Al contrario, uno dei sei farmaci che legano l’AAK1 ad alta affinità era l’inibitore della janus chinasi baricitinib, che lega anche la chinasi associata alla ciclina G, un altro regolatore dell’endocitosi. Poiché la concentrazione plasmatica di baricitinib al dosaggio terapeutico (come 2 mg o 4 mg una volta al giorno) è sufficiente per inibire l’AAK1, viene suggerito che potrebbe essere testato, utilizzando una popolazione di pazienti appropriata con malattia respiratoria acuta 2019- nCoV, per ridurre sia l’ingresso virale e l’infiammazione nei pazienti, utilizzando come endpoint il punteggio MuLBSTA, un modello di allarme rapido per prevedere la mortalità nella polmonite virale.

Gli eventi relativi all’epidemia del 2019-nCoV si stanno evolvendo rapidamente e rendiamo queste ipotesi disponibili ma richiedono ulteriori lavori e analisi dettagliate e non devono essere considerati come costituenti di alcun tipo di consulenza o raccomandazione medica o di altro tipo.

Reinfezioni

“Le evidenze che abbiamo non danno indicazione che si tratti di una re-infezione, bensì di una persistenza del virus”. Lo evidenzia Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico per il coronavirus dell’unità malattie emergenti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Secondo l’Oms i criteri per le dimissioni di un paziente dovrebbero consistere in due test negativi a 24 ore di distanza l’uno dell’altro. E’ tuttavia ipotizzabile e auspicabile un controllo ulteriore dal momento che non abbiamo certezza delle terapie.

 

Il punto di vista del medico di medicina generale

La SIMG, Società Italiana di Medicina Generale, si esprime su come debba essere condotta l’assistenza domiciliare per i pazienti infetti da SARS-CoV-2. La valutazione deve tenere conto del Risk Assessment, ossia della probabilità di compli- canze gravi/decesso del paziente con contagio confermato o sospetto di SARS-CoV-2 e di fattori ambientali.

“Seguiremo a distanza tutti i pazienti – assicura il Presidente SIMG Claudio Cricelli. – Con l’aumentare della diffusione di

27

COVID-19 si assisterà ad un progressivo aumento di pazienti con pochi sintomi che potranno essere curati a casa”. “In SIMG abbiamo preparato un documento che stiamo condividendo con l’ISS che contiene le indicazioni cliniche e ambien- tali affinché sia possibile una gestione domiciliare di un paziente affetto da Covid-19 – afferma Ignazio Grattagliano, Coor- dinatore SIMG per la Regione Puglia. – Le norme di comportamento per il paziente e per chi lo assiste sono già diffuse presso i portali web dell’ISS e dell’OMS; a queste abbiamo aggiunto una scheda di monitoraggio dei parametri corporei ed ematici del paziente che possa essere utile al medico che seguirà il caso”.

In breve, il trattamento domiciliare si articola su tre livelli.

Prima parte – Le indicazioni per valutare l’assistenza domiciliare

È indispensabile valutare prioritariamente i seguenti punti:

  1. 1. Malattia infettiva di gravità lieve: febbre non elevata, tosse, malessere generale, rinorrea, mal di gola; assenza di segni di instabilità (dispnea o insufficienza respiratoria, espettorazione abbondante, emottisi, stato confusionale o letargia, ipotensione arteriosa, sintomi gastro-intestinali importanti).
  2. 2. Assenza di patologie croniche sottostanti (MCV, BPCO, IRC, Diabete, Neoplasie in trattamento, terapie immunomodu- lanti/soppressive). Vaccinazione anti-influenzale/anti-pneumococcica esegu
  3. 3. Età del paziente (<70 anni). Al momento non è possibile una stima accurata del tasso di mortalità da SARS-CoV-2. Sulla

base dei dati finora disponibili, il ricovero è fortemente raccomandato per età >80 anni. Per età inferiori si rimanda al giudizio clinico del medico valutatore.

  1. 4. Ambiente

⦁ disponibilità da parte di familiari a gestire l’assistenza secondo le regole della prevenzione efficace (come minimo

guanti e maschera facciale) e che siano in grado di aderire alle precauzioni raccomandate nell’ambito dell’assistenza domiciliare;

⦁ presenza di una camera da letto separata e bagno indipendente per il paziente;

⦁ famiglia è in grado di provvedere al cibo ed alle risorse di prima necessità (compreso disinfezione…);

⦁ assenza di conviventi/familiari che possano essere ad aumentato rischio di complicanze dall’infezione SARS-CoV-2 nel

caso fossero infettate (ultra-65enni, bambini piccoli, donne in gravidanza, immunocompromessi, portatori di patologie croniche importanti);

  1. 5. Comunicazione con operatore sanitario. E’ indispensabile che sia istituita e garantita una linea di comunicazione diretta per l’intera durata del periodo di assistenza domiciliare fino a completa risoluzione clinica.

 

Seconda parte  – Scheda di monitoraggio con indicatori

Giorno 1°  2° … Temperatura corporea Dispnea

Altri Sintomi* Vigilanza** Ossigenazione Pressione arteriosa Linfociti

PCR Creatinina Sodio Potassio Tampone***

*Tosse, Stanchezza, Espettorazione, mal di gola, Mal di testa, artro-mialgie, nausea o vomito, Congestione nasale, Diar- rea, Emottisi, congestione congiuntivale

**Il prelievo ematico deve essere effettuato ogni 3-5 giorni

***Il tampone di verifica eliminazione virus deve essere effettuato al 14° giorno

28

 

Strumenti utili al monitoraggio paziente in assistenza domiciliare:

⦁ Termometro

⦁ Saturimetro

⦁ Sfigmomanometro

Terza parte Raccomandazione per le persone in isolamento domiciliare e per i familiari che li assistono

  1. 1. La persona con sospetta o accertata infezione COVID-19 deve stare lontana dagli altri familiari, se possibile, in una stanza singola ben ventilata e non deve ricevere visite. 2.Chi l’assiste deve essere in buona salute e non avere malattie che lo mettano a rischio se contagiato.
  2. 2. I membri della famiglia devono soggiornare in altre stanze o, se non è possibile, mantenere una distanza di almeno 1 metro dalla persona malata e dormire in un letto diverso.
  3. 3. Chi assiste il malato deve indossare una mascherina chirurgica accuratamente posizionata sul viso quando si trova nella stessa stanz Se la maschera è bagnata o sporca per secrezioni è necessario sostituirla immediatamente e lavarsi le mani dopo averla rimossa.
  4. 4. Le mani vanno accuratamente lavate con acqua e sapone o con una soluzione idroalcolica dopo ogni contatto con il malato o con il suo ambiente circostante, prima e dopo aver preparato il cibo, prima di mangiare, dopo aver usato il ba- gno e ogni volta che le mani appaiono sporch
  5. 5. Le mani vanno asciugate utilizzando asciugamani di carta usa e gett Se ciò non è possibile, utilizzare asciugamani riservati e sostituirli quando sono bagnati.
  6. 6. Chi assiste il malato deve coprire la bocca e il naso quando tossisce o starnutisce utilizzando fazzoletti possibilmente monouso o il gomito piegato, quindi deve lavarsi le man
  7. 7. Se non si utilizzano fazzoletti monouso, lavare i fazzoletti in tessuto utilizzando sapone o normale detergente con ac- qu
  8. 8. Evitare il contatto diretto con i fluidi corporei, in particolare le secrezioni orali o respiratorie, feci e urine utilizzando guanti monouso.
  9. 9. Utilizzare contenitori con apertura a pedale dotati di doppio sacchetto, posizionati all’interno della stanza del malato, per gettare guanti, fazzoletti, maschere e altri rifiuti.
  1. 10. Nel caso di isolamento domiciliare va sospesa la raccolta differenziata per evitare l’accumulo di materiali potenzial-mente pericolosi che vanno invece eliminati nel bidone dell’indifferenziata.
  2. 11. Mettere la biancheria contaminata in un sacchetto dedicato alla biancheria sporca indossando i guan Non agitare la biancheria sporca ed evitare il contatto diretto con pelle e indumenti.
  3. 12. Evitare di condividere con il malato spazzolini da denti, sigarette, utensili da cucina, asciugamani, biancheria da letto, ecc.
  4. 13. Pulire e disinfettare quotidianamente le superfici come comodini, reti e altri mobili della camera da letto del malato, servizi igienici e superfici dei bagni con un normale disinfettante domestico, o con prodotti a base di cloro (candeggina) alla concentrazione di 0,5% di cloro attivo oppure con alcol 70%, indossando i guanti e indumenti protettivi ( un grem- biule di plastica).
  5. 14. Utilizzare la mascherina quando si cambiano le lenzuola del letto del malato.
  6. 15. Lavare vestiti, lenzuola, asciugamani, e del malato in lavatrice a 60-90°C usando un normale detersivo oppure a mano con un normale detersivo e acqua, e asciugarli accuratamente.
  7. 16. Se un membro della famiglia mostra i primi sintomi di un’infezione respiratoria acuta (febbre, tosse, mal di gola e difficoltà respiratorie), contattare il medico curante, la guardia medica o i numeri regionali.
  8. 17. Evitare il trasporto pubblico per raggiungere la struttura sanitaria designata; chiamare un’ambulanza o trasportare il malato in un’auto privata e, se possibile, aprire i finestrini del veicolo.
  9. 18. La persona malata dovrebbe indossare una mascherina chirurgica per recarsi nella struttura sanitaria e mantenere la distanza di almeno 1 metro dalle altre person
  10. 19. Qualsiasi superficie contaminata da secrezioni respiratorie o fluidi corporei durante il trasporto deve essere pulita edisinfettata usando un normale disinfettante domestico con prodotti a base di cloro (candeggina) alla concentrazione di 0,5% di cloro attivo oppure con alcol 70%.

29

 Q ua nd o  fi ni sce  un’ epidemi a

I criteri con cui l’Organizzazione mondiale della Sanità dichiara conclusa un’emergenza epidemica prevedono due periodi di incubazione completi in cui non si registrino nuovi contagi. Per SARS-CoV-2 potrebbero quindi essere necessari 30 giorni. Successivamente è richiesto il mantenimento di un’elevata sorveglianza per 90 giorni.

 

Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia Il presente report è basato sui dati ag- giornati al 13 Marzo 2020

Il presente report descrive le caratteristiche di 1016 pazienti deceduti e positivi a COVID-19 in Italia. La distribuzione geografica dei decessi è la seguente:

  1. 1. Campione

REGIONI                          N            %

Abruzzo                            2             0.2

Bolzano                            1             0.1

Emilia-Romagna             146        14.4

Friuli-Venezia Giulia       5             0.5

Lazio                                 9             0.9

Liguria                              13           1.3

Lombardia                       762        75.0

Marche                             3             0.3

Piemonte                         18           1.8

Puglia                                5             0.5

Toscana                           3             0.3

Trento                              1             0.1

Veneto                             48           4.7

Totale                               1016      100.0

 

30

  1. 2. Dati demografici

L’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è79.4 anni (mediana 80.0, range 38-100, Range InterQuartile – IQR

75.0-85.8). Le donne sono 289 (28.4%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 è più alta di circa 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 80 anni – pazienti con infe- zione 65 anni).

Numero dei decessi per fascia di età.

Le donne decedute dopo aver contratto infezione da COVID-19 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane:

donne 84 – uomini 79).

La letalità aumenta in maniera marcata dopo i 70 anni.

  1. 3. Patologie pre-esistenti

Comuni patologie croniche pre-esistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione) nei pazienti deceduti. Questo dato è stato ottenuto in 268/1016 deceduti (26.4% del campione complessivo). Il numero medio di patologie osservate in que- sta popolazione è di 2.7 (mediana 2, Deviazione Standard 1.5). Complessivamente, 3 pazienti (1.1% del campione) presen- tavano 0 patologie, 70 (26.1%) presentavano 1 patologia, 69 presentavano 2 patologie (25.7%) e 126 (47.0%) presentavano

3 o più patologie

 

Patologie N %
Cardiopatia ischemica 100 37.3
Fibrillazione atriale 71 26.5
Ictus 22 8.2
Ipertensione arteriosa 205 76.5
Diabete mellito 100 37.3
Demenza 12 4.5
BPCO 26 9.7
Cancro attivo negli ultimi 5 anni 52 19.4
Epatopatia cronica 7 2.6
Insufficienza renale cronica 47 17.5
Numero di patologie0 patologie 3 1.1
1 patologie 70 26.1
2 patologie 69 25.7
3 o più patologie 126 47.0

 

  1. 4. Sintomi

Sintomi più comunemente osservati prima del ricovero nei pazienti deceduti COVID-19 positivo: dispnea e febbre rap-

31

presentano i sintomi di più comune riscontro, meno comuni sono tosse, emottisi e diarrea.

  1. 5. Complicanze

L’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata in questo campione (98.8% di casi), seguita da shock (22.9%), danno renale acuto (16.9%) e sovrainfezione (10.8%).

  1. 6. Decessi di età inferiore ai 40 anni

Al 13 marzo, sono 2 i pazienti deceduti COVID-19 positivi di età inferiore ai 40 anni. Si tratta di 1 persona di età di 39 anni, di sesso maschile, con pre-esistenti patologie psichiatriche, diabete e obesità, deceduta presso il proprio domicilio e di 1 persona di 39 anni, di sesso femminile, con pre-esistente patologie neoplastica deceduta in ospedale.

Al 21 marzo sono 42.681 i positivi, 4.825 i deceduti e 6.072 i guariti.

La bibliografia fa riferimento a documenti dell’ISS, WHO, riviste scientifiche come Science, Le Scienze ed it di Scientific American, BMJ, Lancet nonché a documenti di alcune società scientifiche come Siaarti, SIRM, Simmg.

 

Dottssa C.Musumeci

About the Author :